Stiamo accorti: Della gestione del rischio nel selvatico

AVVISO AI NAVIGANTI: Il testo, piuttosto lungo, è una via di mezzo fra un racconto d’uscita ed un articolo tecnico sulla valutazione del rischi in escursione in un determinato ambiente, nello specifico un bosco verticale. Per chi non fosse interessato alla mia verbosità, ma solo al succo del discorso, potrà leggere soltanto le parti di testo contrassegnate in neretto che sono una sorta di compendio del contenuto dello scritto. Buona lettura.


Un accadimento occorsomi in una delle ultime uscite mi concede lo spunto per affrontare un tema assai importante, ma che sovente rimane a latere delle narrazioni riguardo l’andar per boschi, ancor più importante quando questi ultimi siano ripidi come accade con frequenza in montagna, dove una passeggiata, soprattutto se fuori-sentiero, può mutare velocemente da una salutare sgambata ad una situazione potenzialmente pericolosa, dove le conoscenze delle tecniche specifiche per una specifica situazione sono assai importanti, ma non sono l’unico fondamentale strumento per cavarsi d’impiccio, a poco servirà sapere se non si sa guardare, ascoltare, ascoltarsi, valutare; Veniamo al fatto ed alle riflessioni scaturite.

Vagabondando in un bosco particolarmente suggestivo e ricco di storia, errando fra agrifogli, tassi, querce, sino ad arrivare a larici ed abeti, seguendo per qualche ora alcune delle miriadi di piste d’animali che solcano i ripidi versanti della montagna, mi sono ritrovato sotto una notevole parete rocciosa, verticale e repulsiva, evitabile solo costeggiandola a mezzo di una sorta di stretta cengia di sfasciumi, dopo il cui bordo, se così si può chiamare, si presenta un salto senza soluzione di continuità di varie decine di metri.

Lattraversata sembra più che fattibile, pur nel rischio oggettivo che la pietraia muova verso il nulla, generalmente avrei affrontato la questione, ed invero la tentazione della traversata mi solletica non poco la fantasia ma in certi casi si deve avere la cura necessaria nell’ascoltare tutte le nostre sensazioni senza farsi trasportare dall’euforia e la poca stabilità della caviglia sinistra, non ancora scevra dai dolori dell’ultimo infortunio, mi fa propendere per una “ritirata” in virtù non solo della condizione del piede rispetto alla traversata, ma anche dell’eventuale terreno che avrei potuto trovare una volta superata la cengia: un misto, così a colpo d’occhio, di terra, sassi e pietra, oltre che di rovi, inclinati a circa 45-50 gradi, non il massimo per dover badare all’equilibrio ed alla roncola con un piede che non da garanzie.

Il ritorno si svolge come l’andata, piste e ancora piste, avendo cura di seguire il più possibile quelle dei cervi e dei caprioli, abbastanza grandi da ricavare bei passaggi comodi anche per l’animale umano senza gli incomodi di attraversamenti in tunnel di rovi, strade avvezze ai cinghiali, piuttosto che calate quasi verticali, terreno principe, in questi lidi, più ai camosci che agli stambecchi.

Qualche orma alternata a cortecce mangiate alla giusta altezza mi indirizzano su una pista che velocemente mi fa perdere quota, il bosco da pulito però si fa più tormentato, molti alberi caduti sia da tempo che di fresco sbarrano alcuni passaggi, perdo la traccia dei cervi ma ne trovo un’altra, all’inizio non riesco bene ad interpretarne i segni, non comprendo chi stia indirizzando i miei passi, almeno sino a che un’isolata impronta mi indica come il mio cicerone possa essere -con tutta probabilità- un camoscio, mi rendo quindi conto che la possibilità di incontrare passaggi infidi e scoscesi potrebbe essere più che un’ipotesi, ma la direzione è giusta, i punti di riferimento presi in salita sono dove devono essere, la pista va e viene ma riesco a tenerla, ne cerco altre ma questa pare l’unica sensata che attraversi la parte debole del declivio che sto scendendo, assai ripido.

La strada è giusta, riconosco alcuni passaggi affrontati in salita ed infatti dopo poco mi trovo a dover scendere un breve tratto di roccia affrontato solo poche ore prima salendo, con un problema, nell’ascensione ho sfruttato un passo d’aderenza che è impossibile da replicare in discesa, come ben sa chi scala non sempre ciò che si riesce a salire si può poi discendere con altrettanta sicurezza, ma fortunatamente il mio involontario Virgilio mi indirizza su un esile passaggio in pendenza che mi permette di evitare rischi inutili su un tratto di roccia assai esposto, in pochi passi sono quindi nuovamente in bosco, leggermente defilato rispetto la linea di salita ma ancora in posizione tale da potermi orientare sfruttando i traguardi*.

Ho perso la traccia, il bosco è un intrico di piante cadute, forse a causa del vento dei giorni scorsi, è difficile calpestare terra, procedo più che altro su schegge di rami e tronchi schiantati, i rovi non aiutano, tenere la direzione è difficoltoso e spesso devo tornare sui miei passi.

Acqua, sento rumore d’acqua, il che mi indica d’essere nella giusta direzione, quella di una serie di cascate su un piccolo torrente, in basso intravedo il fondo bosco, pianeggiante, in una mezz’ora avrei potuto cavarmela, se non che gli unici due passaggi possibili per guadagnare la base del pendio sono o un canale ripidissimo, saturo di Rosa canina e Crespino, o uno scivolo roccioso, di circa 15/20 metri, individuato circa 50Mt più ad Est.

– COME PROCEDERE?

Trovandomi innanzi a due scelte, parimenti repulsive seppur per motivi differenti, il discrimine nella scelta è dettato dall’osservazione del territorio circostante, oltre che della linea di discesa e dalla valutazione dei rischi e dalla conservazione delle energie, mentali e fisiche.

In ognuno dei due casi la soluzione migliore sarebbe una calata di corda, a meno di non tornare sui miei passi per un bel tratto tentando di evitare questa zona di bosco, ma scendere non è stato semplice, non lo sarebbe risalire ed il rischio comunque poi di dover affrontare ugualmente uno di questi scenari -possibilità più che probabile, visto l’ambiente in cui mi trovo- ma con decisamente meno energie fisiche da investire mi fa optare per la scelta fra il canale o lo scivolo.

Generalmente è sempre meglio evitare questo tipo di criticità, il rischio è da eludere o minimizzare al massimo quando si esplorano zone impervie e sconosciute, un infortunio potrebbe avere esiti nefasti e quindi evitare ostacoli rischiosi dev’essere sempre la prima opzione, non ci si cava dagli impicci con la spavalderia (anzi…) ma con la giusta dose di prudenza e pazienza, ciò non toglie però che in certi casi tutte le valutazioni del caso portino a scegliere di affrontare di petto la criticità, ma ciò va quindi fatto con la necessaria attenzione, cura nei dettagli, conoscenza dei propri mezzi, delle proprie dotazioni e della propria forma fisica e lucidità mentale in quel determinato momento, si perché spesso la stanchezza annebbia la mente, ed una testa poco concentrata può spingere all’errore o comunque, nel migliore dei casi, ad una non corretta lettura della situazione contingente, allungando tempi, amplificando la fatica ed esponendo a possibili infortuni, di varia entità.

– OSSERVAZIONE E VALUTAZIONE DELLE POSSIBILITÀ.

Non vedo il fondo del canale che gira leggermente verso Est, i rovi impediscono di valutarne con precisione pendenza e condizione, oltretutto le numerose piante cadute nel circostante e durante la linea di discesa mi fanno pensare ad un terreno molto umido e soffice, c’è quindi il rischio, scendendo, oltre che di dover lottare con i rovi, palesi e minacciosi, di tirarsi dietro pietre, terra e chissà cos’altro, il pro però è un ancoraggio bello solido, da ricavarsi attorno al possente tronco di un albero caduto ma ancora bello sano ed in posizione stabile; non mi attira, proprio non mi attira la possibilità di dover lottare con i rovi dovendo anche gestire la calata, oltretutto non vedere il fondo non è mai una buona opzione, la discesa potrebbe divenire troppo verticale per la mia dotazione o la corda potrebbe essere troppo corta, ci manca solo di dover frazionare la discesa dovendosi assicurare ad un’eventuale pianta lungo la calata, e non è detto che ci sia, recuperare il cordame, e non è detto che la rovaia lo permetta, ed approntare la nuova discesa.

Ci sono troppe incognite.

Lo scivolo di roccia pare la miglior soluzione, potrebbe essere sceso con attenzione anche senza ausili terzi, ma foglie, terra, ed un sottile ed infido strato di polvere che lo vela, mi fanno propendere per l’allestimento di una linea di calata, c’è giusto un alberello a margine della roccia, esile si, ma saldo, il terreno circostante, privo di piante sradicate, pare più compatto rispetto all’area-canalone, mi risolvo quindi nello sfruttare questa opzione.

MATERIALI.

È sempre bene, quando si frequentano determinati ambienti, soprattutto se in aree sconosciute, avere sempre séco le adeguate dotazioni (e conoscerne approfonditamente l’uso) che possono essere una corda di un metraggio non troppo esagerato che ne garantisca la portabilità, io solitamente ho una corda da ghiacciaio di 20Mt per 7 mm di spessore, ed il necessario per realizzare un imbrago d’emergenza ed un freno di calata, ma non sempre l’uscita è programmata e quindi non sempre tutto il necessario è nello zaino, ma quello che dovrebbe esserci a prescindere è un minimo di cordame sufficientemente solido per permettere di affrontare vari tipi di esigenze finanche, in casi di necessità, delle brevi calate, non verticali.

Non ho con me corda ed affini, ma nello zaino ho circa 30Mt di Paracord550 frazionato in vari spezzoni, ed un cordino generico da ferramenta, tanta roba per un’escursione, ma per il peso esiguo che rappresenta preferisco avere con me sempre un bel po’ di cordame.

Il Paracord ha un carico di rottura (suppongo statico) di circa 250Kg (550 Libbre), sufficiente per una calata senza sollecitazioni eccessive, il cordino da ferramenta chissà, ma almeno il mio peso dovrebbe tenerlo e lo affermo visti varii test fatti a casa.

Lo scivolo è piuttosto lungo, almeno 15 Mt, l’idea è di scendere in doppia ancorandomi all’alberello, devo quindi giuntare fra loro i varii spezzoni di Paracord e lo faccio utilizzando il fido nodo galleggiante (ne ho parlato QUI).

Lo scivolo di roccia e la linea di calata.

Dopo aver passato la corda attorno alla base dell’albero, più in basso possibile per evitare che il tronco faccia troppa leva sulle radici rischiando di sradicare tutta la pianta, lego al termine dei due rami di corda il bastone da passeggio e faccio scivolare il tutto sino al fondo dello scivolo, la corda non basta per un paio di metri, ma l’allungamento della stessa (il Paracord è piuttosto elastico) lungo la discesa mi aiuterà a guadagnare il tronco di un altro alberello proprio alla base della roccia.

Con il cordino da ferramenta, opportunamente doppiato, appronto un imbrago (QUI la procedura) al quale fisso un piccolo moschettone a ghiera che ho sempre con me sul quale realizzo, con il cordame di calata, un Mezzo barcaiolo (QUI).

Il sistema di calata: l’imbrago d’emergenza, il freno. Si notano sul moschettone i 4 trefoli di Paracord.
Si perdoni la poco estetica custodia della macchina fotografica.

A questo punto i fattori da tenere in considerazione sono sostanzialmente due, in primis il riscaldamento del Paracord, che ha un punto di fusione assai basso ed il Mezzo barcaiolo, sfruttando l’attrito della corda su sé stessa e sul moschettone scalda parecchio il complesso, ed in seconda battuta la possibilità che i nodi di raccordo degli spezzoni del cordino inceppino il sistema.

Comincio la calata lentamente tenendo ben salda la corda, il Paracord è molto “viscido” e non voglio rischiare di correre troppo rischiando di bruciare tutto, questo tipo di cordame è poco adatto a questa tipologia d’operazioni e del tutto sconsigliato in caso di calata verticale, ma su queste pendenze si difende, oltretutto la sua morbidezza, unita alla “viscidezza” ed allo spessore, fanno si che i nodi passino nel sistema senza intoppi particolari, di contro il freno va gestito con cura perché l’esiguo spessore del cordame (nel sistema passano comunque 4 fili) e la sua scivolosità possono, in caso di distrazione, rendere potenzialmente ingestibile la discesa; tutto va come dovrebbe ed in un attimo sono dunque alla base dello scivolo.

Recuperato il cordame ripongo tutto nuovamente nello zaino, ora il bosco addolcisce, la discesa è oramai puro piacere, in lontananza comincio ad intravedere la Panda.

RICAPITOLANDO

– Prima di imbarcarsi in ogni avventura valutarne, per quanto possibile, la fattibilità in base alla nostra preparazione tecnico/fisico/mentale. La sincerità verso sé stessi è il primo strumento da portarsi appresso.

– Portare sempre séco il proprio “senso del limite” e la propria umiltà, saper rinunciare e tornare indietro sono strumenti importanti per ogni marinaio di foresta.

– Avere sempre con sé un minimo di dotazione adatto al terreno che andremo potenzialmente ad affrontare.

– Rispetto al materiale a disposizione, conoscerne caratteristiche, pregi e difetti, al fine di massimizzarne l’utilizzo.

– Avere confidenza assoluta con le tecniche da utilizzare (pratica, pratica, pratica!), per quanto possibile è meglio evitare improvvisazioni, se fattibile scongiurare ogni situazione che ci possa ingenerare insicurezza o incertezza nel procedere. Non c’è da dimostrare nulla.

– In caso di criticità valutare con tranquillità la situazione, scandagliare le opzioni che ci si presentano innanzi, valutare pro e contro di ogni possibilità in relazione all’ambiente, al nostro stato di forma fisica e psicologica, alla nostra preparazione tecnica, avere l’umiltà della ritirata.

– Affidarsi all’osservazione dell’ambiente circostante per aiutarsi a decidere il da farsi in base alla morfologia del luogo ed alle condizioni dello stesso.

– Prendersi il giusto tempo per tutte le valutazioni, ma non perderne troppo, c’è sempre, se si esita, la possibilità che soggiunga un calo di tensione nervosa che ci potrebbe costringere all’inazione.

– Se si decide di procedere farlo con volizione ed estrema attenzione, ogni esitazione o distrazione potrebbero risultare delle discrete problematiche.

Questo è quanto, buoni boschi!

* Con traguardi intendo punti di riferimento ambientali ben visibili durante buona parte della nostra escursione o guadagnando un punto d’osservazione rialzato, possono essere caratteristiche delle vette circostanti, alberi particolarmente alti o isolati, affioramenti rocciosi, ecc…, meglio sarebbe avere almeno due riferimenti da utilizzare per orientarsi, ma anche uno è un ottimo comporto nella marcia. Di qualcosa del genere avevo già accennato QUI.

Questa voce è stata pubblicata in Stiamo accorti, Tecniche boschive e contrassegnata con , , , , , , . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *