Camminatore solitario

Uno scritto di qualche tempo fa, sempre attuale, non solo nei boschi…

Qui non palazzi, non teatro o loggia ma’n lor vece un abete, un faggio, un pino. Tra l’erba verde e’l bel monte vicino levan di terra al cielo nostr’intelletto.
(Francesco Petrarca)

Osservando un panorama da un poggio lo sguardo spazia, gli orizzonti si fanno ampi, d’immenso respiro, tanto da far credere di poter abbracciare in uno sguardo tutto l’esistente più prossimo. Avviandosi però giù, lungo i pendii, i molteplici sentieri si fanno più incerti, tortuosi, là dove si era ravvisato un comodo passaggio troviamo ora intricate reti di rovi e radici, là dove pensavamo una comoda radura troviamo una selva di ginestra spinosa.
Più però ci avviciniamo e più la reale consistenza dell’esistente si fa problematica, certe volte spaventosa ed impenetrabile, più comodo osservarla dall’alto, idealizzando ogni tratto di bosco, ogni suono, creando immaginari idilliaci di silvestre tranquillità, ma non tutti ci riescono, non tutti possono o vogliono ubriacarsi nella contemplazione, taluni hanno bisogno di andare, senza una meta precisa, rischiando l’ignoto del particolare e l’esperire individuale; costoro hanno bisogno di andare e si graffieranno, imprecheranno, dovranno tornare più e più volte sui loro passi, in certi momenti perderanno energie e speranza, ma chi deve -e deve perché vuole- andrà, disperatamente, solo o non importa con chi, per quanto l’ambiente possa essere severo e selvaggio chi non può farne a meno, mosso da impellente curiosità, forse disperato andrà, andrà là dove vorrà e riuscirà ad andare, là dove altri non avranno mai il coraggio di spingersi: seguirà piste di sconosciuti animali, e dove non ce ne fossero creerà lui il passaggio. Fermo e determinato, inarrestabile, non si curerà né dei consigli, né tanto meno delle imposizioni, si divincolerà fra i rovi e si opporrà ai lacci che lo vogliono costringere in un ruolo, uno qualsiasi, drammaticamente insufficiente a poter soddisfare anche solo in minima parte tutta la sua debordante necessità di essere.

Non c’è costrizione possibile come non c’è limite, se non quello segnato dalle proprie forze. Conscio della sua solitudine il solitario esploratore va, non perché qualche scopo superiore lo spinge, non perché istigato dalle collettive necessità, non per lustro personale, ma perché deve e vuole e vuole e deve perché ogni passo determina il suo essere ed il suo esserci, senza nessun altro obiettivo diverso da sé, e qualora in questo andare incontrasse qualcuno come lui, qualche affine camminatore solitario beh, che si proceda assieme fin quando il sentiero e la necessità – Verein von Egoisten! – lo permetteranno, fino a lasciarsi quando lo si riterrà più opportuno o se opportuno sarà assieme marciare ancora ed ancora.

Si rassegni chi pensa di poter frenare l’incontenibile, o di poterlo piegare ai suoi progetti, chi provasse a fare ciò troverà solo ostilità e fiera ribellione.
Si rassegni chi crede possibile zittire voci e volontà, frenare passi: questi passi verranno difesi con il ferro da chi ha volontà, voce, polmoni e gambe per camminare. Nessun recinto, steccato, confine.
Si rassegni chi vorrebbe che ognuno seguisse la strada da lui determinata, chi è abituato a camminare fuori traccia non si ridurrà a massa.
Lo straccio nero dell’individuo tergerà il sudore di questi camminatori, gli offrirà riparo o bandiera, coperta o calore, per il selvaggio essere, irriducibile.

M.

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