Riflessioni e accenni su Anarchicx e Mondo-Covid
Questo testo nasce dalla volontà di esprimere dubbi e perplessità (e anche un po’ di preoccupazione lo ammetto) su come avverto che si stia vivendo, in ambito anarchico in questa parte di mondo, la situazione legata alla ristrutturazione sistemica in atto, avviata sulla scia della Grande Narrazione del Covid-19. Situazione, questa, che non vorrei definire con nessuna parola d’ordine del potere tipo “Pandemia” o “Crisi Sanitaria” (perché le “parole contenitore” della propaganda semplificano troppo la realtà) e che per convenzionalità chiamerò “ristrutturazione sistemica in atto”. Nel pratico è ciò che stiamo vivendo tuttx tutti i giorni, che abbiamo visto svilupparsi, montare, arrivare da lontano; prima solo sugli schermi poi nella realtà. All’ipervelocità di questo esistente smart e iperconnesso si è prefigurata nell’etere dello spettacolo e poi si è concretizzata nella realtà dello Stato di polizia-sanitario, la più imponente e rapida e uniforme affermazione di uno “strumento di trasformazione e controllo” a livello globale che il mondo moderno ricordi. Sicuramente l’evento planetario che, da quando sono al mondo, ha più visibilmente sconvolto e influenzato la vita della popolazione umana (e purtroppo non solo) quasi nella sua totalità.
Ma questo testo non vuole parlare di economia, di finanza, di geopolitica, di complottismi o di qualsiasi altro aspetto, certo interessante e molto più complesso di quanto non mi propongo di spingere la mia analisi, legata al Covid. Vuole parlare dex anarchicx ax anarchicx. Degli spazi, relazioni, dell’immaginario, del modo di affrontare questa situazione dalla quale, credo di poter dirmi, dipende e dipenderà, oltre alla possibilità per chi l’anela di ribaltare questo mondo, anche la possibilità stessa di continuare ad esistere nel mondo che si prefigura. Perché non si sta parlando solo (e forse non si è mai parlato “solo”) di equilibri sociali, di forze repressive all’avanguardia, di ristrutturazione capitalista, si sta, secondo me, trattando sempre più della maniera stessa che abbiamo di guardare il mondo, la vita e il nostro esistere nel/contro il mondo. Ma questo meriterebbe una dissertazione approfondita, forse filosofica, che io non mi sento in grado di fare. Però vorrei proporre una critica sui modi concreti che si stanno realizzando ora, a questa latitudine, nel “gestire” la questione della salute, della prevenzione, la prosecuzione della nostra socialità. Purtroppo credo che ci sia stato scarsissimo dibattito “reale”, laddove con questa parola assai scivolosa intendo un processo di confronto/scontro/approfondimento avvenuto su un piano esperibile nella sua totalità, tra individui in carne ossa muscoli pulsioni (etc) escludendo, cioè, tutta la sfera del “web-mondo-social”. La ragione di questa penuria di confronto tra le diverse anime e sfumature di pratica e di pensiero, all’interno del mondo anarchico, su come affrontare questa sconvolgente novità risiede per me soprattutto nel fatto che alcunx compagnx non volevano vederne altrx (per timore della repressione sbirresca e/o per ragioni di “prevenzione del contagio”) e chi si è continuatx a vedere, spostare, confrontarsi, parlare l’ha fatto essenzialmente con chi aveva preso scelte analoghe (c’è da dire che la situazione è notevolmente mutata nel corso dei mesi da marzo 2020 a oggi, e moltx compagnx, con l’andare del tempo, mi pare abbiano rivisto le proprie iniziali posizioni). Perciò la mia analisi è lacunosa probabilmente già sul nascere: non ho avuto confronti con individui che avessero considerazioni della situazione (e avessero reagito di conseguenza) tanto dissimili dalle mie.
La verità è che a marzo scorso mi ha preso uno sconforto tremendo. A tratti un po’ di paura. Di tensione nervosa. E non perché il virus minacciava la mia sopravvivenza, ma perché vedevo le persone amiche serrate in casa, comunicare attraverso degli schermi, farsi bastare un sms o una videochiamata al posto di un incontro, una risata, una nottata all’aperto, illuminata dal fuoco. A marzo ho letto dei comunicati di spazi anarchici che annullavano delle serate per “la condizione venutasi a creare” (stesse parole che usavano i/le ristoratorx o le istituzioni che imponevano le serrate alla vita sociale) impedivano lo svolgimento delle stesse, senza un minimo di riflessione che, di fatto, si discostasse dai proclami delle autorità statual-sanitarie. Mi pareva tutto assurdo…e non tanto che dal ventre marcio e tossico del capitalismo emergesse un virus (l’ennesimo!), no, questo mi pare oltremodo normale abituato come sono alla vita in Occidente su questa terra, ma mi pareva davvero strano che dex compagnx si accodassero alle direttive del potere. Dello Stato. Dex medicx e dei loro “Ordini di categoria”, notoriamente null’altro (o poco altro) che i rappresentanti porta-a-porta delle case farmaceutiche che, vale ricordarlo, sono tra le corporations più influenti e ricche e nocive del globo. Lo sconcerto si acuiva mano a mano che assistevo alla “virtualizzazione” dell’organizzarsi e anche di alcune forme di protesta (tipo mail bombing o “performance” dai balconi) proposte e/o adottate come se non vi fosse altra possibilità; alcune assemblee si sono “spostate” sull’etere, spazi occupati o in affitto hanno chiuso i battenti nei momenti di “lockdown” per poi riaprire a singhiozzo quando lo Stato decretava che la situazione era più “tranquilla”; gruppi di compagnx non si sono incontratx per mesi perché “la legge vietava gli spostamenti” (scusate ma da quando in qua ci interessa la legge??!) e la cosa più drammatica che, così com’è per la società nel suo insieme, questi cambiamenti “emergenziali”, soprattutto quelli riguardanti le svolte virtuali/tecnologiche, in moltissimi casi, non svaniranno.
Perché nel mondo della fretta, della frenesia metropolitana, dello smartphone in quasi ogni tasca anche dex anarchicx (uno scacco matto, tra le altre cose, alle nostre capacità organizzative “vis à vis” senza precedenti per me) sarà più “pratico”. Anch’io mi sono sentito spaesato dall’accelerazione in senso repressivo dell’apparato sbirresco-militare, e in questo capisco perfettamente quex compagnx che hanno desistito dallo scendere in strada in condizioni del tutto inedite sul piano “della piazza”, laddove saremmo statx noi (pochx) e le guardie con una rinnovata sete di sangue e la consueta (forse maggiorata se possibile) impunità (con questo non voglio dire che allora, date le “condizioni oggettive”, non si debba scendere in piazza in casi simili! Rifletto sulla mia impreparazione e incapacità di inventiva). Ma il fatto che a livello sotterraneo, sfidando i divieti e i controlli, moltx, moltissimx anarchicx non si siano comunque incontratx per mesi, regalando ore ed ore di dati telefonici al nemico, questo mi ha un po’ raggelato.
Non voglio sentenziare dal pulpito di non so bene quale verità, non voglio punzecchiare ma sollevare dubbi, anche scandalizzare forse, ma spero di farlo sempre da pari a pari. Io non critico e non mi allarma che alcune persone, che anche si dicono e si sentono radicalmente in conflitto con questo ordine di cose esistenti, temano per la propria o altrui incolumità, al pari di chiunque altrx nella società che ci ingabbia; non mi stupisce e non mi allarma il fatto che qualcunx scelga, per esempio, di non abbracciare unx altrx compagnx (lo trovo incompatibile con la mia vita, ma non per questo lo giudico negativamente) ma ciò che mi desta preoccupazione è che le “misure” che si sceglie di adottare siano quelle comandate dal potere tecno-scientifico. Senza, apparentemente, alcuna messa in discussione. Senza alcuna critica e/o autocritica. E quel che è peggio è che, proprio come l’ideologia cittadinista vuole, queste scelte (che mi verrebbe da definire più “queste obbedienze”, visto che la scelta presuppone, per me, una critica) le si vorrebbe vedere universalmente adottate.
Questo atteggiamento va dal grado più “soft” di fare propri i dettami dello Stato e dex suox specialistx, e considerare chi non lo fa “unx irresponsabilx”, fino al punto estremo di giustificare, quando non invocare, l’obbligatorietà delle misure di repressione del virus: tutto questo come può conciliare col dirsi anarchicx e/o antiautoritarx!? (Ho volutamente utilizzato il verbo “reprimere” il virus, e non “curare”, perché per me la cura attiene a qualcosa che va a ragionare ed agire sulle cause di un problema, non sugli effetti ultimi di questo). Tra chi sposa la tesi della ramanzina ax irresponsabili, c’è anche chi si lancia in una difesa della scienza e del “metodo scientifico” (sola e unica fonte di indagine della Realtà, con la “R” maiuscola…come se esistesse la Scienza Pura poi, e non un apparato di Industrie Scientifiche) che invita tuttx noi a farci una cultura prima di dire bambinate ribelli sui vaccini, dando del “controrivoluzionario” (!!) a tutto ciò che esce dai binari dei formulari da laboratorio.
Tutto questo è accaduto e accade. Sia verbalmente che in maniera scritta, vi sono statx compagnx che hanno puntato il dito contro altrx compagnx ritenutx “complicx del contagio”: esattamente ciò che la voce del padrone a reti unificate strombazza da un anno a questa parte. Mi sono domandato, e mi domando, come si potesse arrivare a considerare lo Stato, il governo, i vari ordini dei medici, case farmaceutiche, l’OMS, insomma tutta questa accozzaglia di assassinx/torturatorx/psichiatrx/repressorx, solo fino a ieri acerrimx nemicx di ogni libertà (a ben donde!) come interlocutorx possibili di un qualsiasi discorso che ci riguardi. Anzi, peggio, perché non si è mai trattato di “interloquire”, ma di “adeguarsi” alle direttive, assumere i dettami scientifici, adattare la sopravvivenza quotidiana ai proclami di questi mortiferi figuri.
Forse non apparirà troppo intellettualmente maturo, ma una domanda mi è sorta spontanea e cocente fin da subito: come si può non sentire dentro di sé un conflitto vertiginoso e allarmante se ci si sente/si è anarchicx (con tutte le variegatissime sfumature che questo termine porta con sé) e le proprie idee e proposte di punto in bianco coincidono con quelle dello Stato e dell’accozzaglia di cui sopra?! Io non metto quindi qui in discussione che ci si voglia tutelare (e tutelar altrx) dal contagio di un virus che si ritiene essere realmente pericoloso per l’incolumità, ma che ci si accodi acriticamente alle soluzioni (comandamenti) del potere. E, cosa forse ancora più grave per me, che, mi pare, non ce ne si accorga nemmeno. Come a dire che finché le cose vanno “bene”, dai, siamo “ostinatx e contrarx” ma se la situazione è troppo seria ci vuole qualcunx, qualcunx preparatx, che faccia qualcosa.
Forse sto banalizzando ma mi pare che la situazione sia realmente questa: la società per come è strutturata da decenni è la nemesi di ogni indipendenza individuale, da anarchicx lo diciamo/scriviamo da tanto, e nel ritrovarsi impantanatx in una situazione critica di così ampia portata (la diffusione di un virus) ci si sente spiazzatx. Ma, a ben vedere, è da altrettanto tempo che diciamo/scriviamo che le epidemie si sarebbero scatenate come effetto del capitalismo, che la guerra sarebbe stata portata sempre più dentro i confini delle nazioni e rivolta verso “i nemici interni”, che il lavoro salariato sarebbe stato sorpassato sempre più dall’automazione…sembra che non siamo statx all’altezza, per così dire, del nostro stesso averci visto lungo!
La ristrutturazione sistemica in atto ci pone davanti straordinarie scelte di radicalità: ci sono alcune linee di non-ritorno che, se varcate adesso, non si potranno poi ricucire. Per esempio, fuor d’ogni romanticismo televisivo, se continuare ad abbracciarci o no (per non parlare di organizzarsi, cospirare e lottare fianco a fianco per mettere a ferro e fuoco l’esistente). L’abbraccio forse parrà un esempio infantile, ma, a parte che non vedo nulla di male nell’infanzia, anzi, per di più mi pare che non sia cosa da poco il metter mano alla mia “auto-repressione” erotica (nel senso di Eros) e affettiva fino al punto di negarmi l’abbraccio con l’Altrx. Certo poi ci sono questioni forse più lampanti tipo la vaccinazione, la nuova documentazione sanitaria per viaggiare, lavorare, accedere a servizi di base, l’obbligatorietà sociale, nei fatti, di possedere uno smartphone (questo altro dibattito mai avvenuto in seno al mondo anarchico che, mi pare, si sia ad ampissima maggioranza accodato al progresso ineludibile e magnifico) etc.
Ho letto compagnx sostenere che l’atteggiamento di chi non adotta i dettami del potere lo fa in virtù del privilegio accordatolx dalla prestanza fisica, dal non avere problemi di salute o condizioni cliniche “a rischio”: cioè, mi viene da tradurre, di essere “dex abilistx”. Io non mi sento affatto di rispedire al mittente questa criticità,
perché trovo sempre interessante e arricchente il ragionare sui nostri privilegi, specie in un terreno di dibattito non ferratissimo sull’argomento come può essere il milieu anarchico italiano. Da un lato per me merita confrontarsi su questo punto, perché manca di certo, salvo poche parole, il punto di vista di chi, in questa situazione, si sente un “individuo a rischio”; dall’altro ci sono anche individui “a rischio” che hanno scelto comunque di non adottare le misure sanitario-governative, quindi porre in termini assoluti questa critica è limitante per l’analisi. E comunque credo che la mia critica di fondo resti inalterata: non voglio affermare che, per partito preso, non adotterò nessuna “misura di prevenzione” se mi viene richiesto da persone vicine, con le quali ho un confronto, ma voglio che questo discorso sia aperto, su basi di metodo condivise, non che si riproponga l’aut-aut del potere: o adottare le “disposizioni” della scienza militarizzata, o essere dichiaratx pericolosx, untorx, irresponsabili.
Un dato di fatto sul quale mi piace ragionare è che io non so nulla di virus né di virologia (per prestare al fianco a chi critica noi barbarx di essere scientificamente ignoranti!). Fino all’invenzione, da parte della scienza medica di questa branca della ricerca, nessun umano ne sapeva nulla. Non esistevano il concetto stesso di “virus” o di “trasmissione virale” prima che la scienza coniasse (loro dicono “scoprire” come se vi fosse UNA sola verità assoluta che basta dirimere dalle nebbie dell’ignoto) questa terminologia. Eppure la civiltà mercantile, antesignana del capitalismo e della sua scienza, ha inventato le epidemie molti secoli prima. Cioè le cose esistono anche se la scienza non le ha scoperte! (Così come l’America prima che Colombo sbarcasse). La scienza è, per me, vale dirlo in maniera preventiva, solo UN modo di interpretare il mondo. Che si pretende neutrale e soprattutto OGGETTIVO.
Ma non lo è. Niente lo è (per me). In questa insopportabile arroganza della retorica scientifica si può entrare solo se si è “addettx ai lavori”, ossia, il mondo della scienza è un mondo di specialisti. Il mondo all’interno del quale le conoscenze (e il saper fare) sono dominio collettivo, delle comunità, degli individui che crescono con un ampissimo ventaglio di capacità e un grado di autosufficienza rispetto agli “affari del mondo” praticamente totale, è a dir poco dimenticato (almeno in questa parte di mondo). Va da sé che la scienza, e ancora di più il suo precipitato quotidiano e tangibile, ossia la tecnologia la posso solo “ricevere” (io direi “subire”), perché non ho le capacità né le conoscenze per mettervi mano. Esattamente come x comunx mortali non hanno le capacità per isolare un virus, vedere una molecola, sviluppare un vaccino, assemblare un cellulare, andare sulla Luna a depredare nuove terre rare per gli Iphone (proposta, questa, realmente avanzata da molti paesi NATO) etc. Ci vogliono industrie e laboratori, con tutto ciò che necessitano per esistere e ciò che deriva dalla loro esistenza, per fare questo, altro che “metodo scientifico”!
La visione dello Stato e dei poteri che concorrono al dominio, riguardo alla “salute”, così come per tutto, è una visione di dipendenza gerarchica tra chi detiene mezzi e conoscenza e chi solo può anelare, attendere, obbedire e, un giorno, se fortunatx, usufruire. E da antiautoritarx è questo il modello che vogliamo utilizzare per “tutelarci” da un virus, fosse anche il più spaventoso e letale?! Vogliamo ricalcare passo passo la logica dominante immolando, per la sicurezza della sopravvivenza biologica, la libertà di scegliere per noi stessx e scegliere, insieme a chi vorrà farlo, consensualmente? E se anche si sceglie che si vuole ragionare su parametri scientifici, perché le scuole di pensiero olistiche, per esempio, non le conosciamo o ci appaiono lontane dal nostro stile di vita, non possiamo comunque intervenire nel discorso “tra noi” con la nostra logica? Per esempio se pensi che la mascherina ti possa salvaguardare da un virus, non basta che tu ce l’abbia tra le due, anche se io non voglio indossarla? È una domanda vera, che mi/ci pongo, e che ovviamente vale solo in contesti dove si voglia esercitare l’orizzontalità, il dialogo e il consenso, altrove vige l’autorità e la piramide. Trovo estremamente eufemistico e offensivo tutto lo strombazzare che si fa sul “salvare delle vite”, perché, in effetti, mi pare si parli di sopravvivenza, esattamente come “prima” del Covid quella che il potere si prefigge di salvaguardare (secondo tempi e costi e calcoli favorevoli solo al potere stesso) non è di certo per il mio sentire quello che potrei definire “una vita”, ma la prosecuzione meccanica del corpo umano dell’individuo in società, atto alla produzione, alla riproduzione e al consumo.
E anche sotto questo punto di vista a me manca un ampissimo discorso su cosa significhi per le/gli anarchicx il “vivere” lo “stare bene”, la “salute”, come ci approcciamo alle malattie e soprattutto se siamo dispostx a considerare un qualcosa di barattabile al ricatto della “sicurezza sanitaria” il rapporto col nostro corpo, con quello altrui, il contatto, la vicinanza, un bacio, una carezza, lo spostarsi, l’errare, il viaggiare…
Credo che da quanto ho scritto si possa evincere come la penso a riguardo. Mi spiace che siano state pochissime (per lo meno quelle girate sui siti/pubblicazioni “d’area”) le analisi che partivano da questi aspetti della Grande Narrazione del Covid e non solo le questione socio-politiche contingenti (che comunque sono importantissime da intercettare, interpretare, discutere). Una delle risposte che mi pare si sia adottata è la più caldeggiata dal sistema tecno-sientifico, e cioè trasporre la nostra vita sull’etere: fare assemblee (o altri tipi di “incontri” non per forza così formali) in streaming a distanza, utilizzando supporti tecnologici. Questo mi pare il più limpido esempio di adesione da parte anarchica alle pratiche del tecno-mondo. Dall’altra , diametralmente opposta, ma per chi scrive similmente problematica, c’è il tentativo di fare assemblee all’aperto, rispettando il “distanziamento sociale” come le direttive vogliono. Io credo che nessunx compagnx abbia preso alla leggera queste situazioni, ma se uno dei risultati è quello di fare assemblee in un parco cittadino, in pieno inverno, con il traffico dell’ora di punta del rientro a casa dal lavoro, nell’aria mefitica delle metropoli, la cosa mi pare un po’ problematica (non vuole essere un riferimento a nessuna realtà/situazione in particolare, so che sono avvenute e avvengono in svariati luoghi in Italia). So per certo che non si adottano certe “misure” in ossequio alla legge, ma perché si ritiene che siano valide/utili, ma il risultato poco cambia ahimè, e la questione di esercitare la nostra individuale logica nell’autorganizzarsi torna, per esempio, in situazioni come queste dove, scusate la franchezza, magari ti salvaguardi dal Covid ma ti viene la polmonite e di sicuro tutto finisce sugli smartphone della digos!
Non voglio assolutizzare, so per certo che non è un quadro uniforme quello del mondo anarchico, in questa come in quasi tutte le sue sfaccettature, ma, credo che nelle differenze che vanno sempre più acuendosi, sia bello e importante essere chiarx, per sapere dove si vuole andare, da che basi partiamo, così da sapere chi abbiamo e vogliamo avere di fianco. Non voglio dar adito a dicotomie fin troppo riduttive tipo “sociali VS antisociali” che direi rispecchiano solo l’idea che i PM si fanno di “noi”, ma evidenziare che è fondamentale per me sapere cosa pensa unx compagnx del Vivere della Libertà del Rischio… Perché da questa conoscenza reciproca, dalla visione del mondo e dalla percezione di sé stessx nel mondo, io mi muovo per scegliere come comportarmi di fronte a eventi che, potenzialmente, possono essere stravolgenti, come un’epidemia o una guerra o l’instaurarsi di una dittatura vecchio stampo o stravolgimenti climatici imponenti etc.
Queste righe vogliono esser seriamente un appello a tuttx coloro che non si sentono soddisfattx di ciò che si è messo in campo, teoricamente e praticamente, nell’attraversare le trasformazioni in atto; anche coloro che si sentiranno offesx da queste parole, che le troveranno ideologiche e irresponsabili: la già scarsissima libertà di vivere le nostre vite è a una svolta epocale, e la tristezza di esistenze sempre più simili a quelle delle macchine è una minaccia che per me fa impallidire qualsiasi epidemia. Anche nel momento della paura credo che sarebbe fondamentale mantenere accesa e vitale la fiamma della critica che ci ha fatto scegliere un’esistenza contro le regole stabilite, che ci ha fatto mettere in discussione tutto ciò che ci volevano imporre come “normalità”; senza patenti di legittimità o di ortodossia, ma ricercando in noi stessx la ragion d’essere della nostra Anarchia, la nostra ribellione a dogmi e imposizioni, la nostra irriducibilità all’obbedienza che parte dalla critica e dalla scelta individuale.