Traduzione di un comunicato per le manifestazioni del 31 ottobre e del 1 novembre in Francia in risposta all’assassinio di Remi:
LA POLIZIA HA UCCISO REMÌ
Sabato sera , alla Zad du Testet, Rémi viene ucciso dalla polizia.
Il suo corpo viene agguantato e trascinato per decine di metri dalle forze dell’ordine mentre gli scontri continuano.
Il giorno dopo questo é ció che si legge sui giornali: “il corpo di un uomo è stato ritrovato in prossimità del cantiere”… oltraggio, menzogna. A poco a poco, cominciano a saltare fuori i dettagli:
scontri, piogge di granate e di flash ball, una esplosione di origine indeterminata.
Le autorità distillano le informazioni, tentano di dividerci e di trasformare la morte di un compagno in un problema tecnico.
Nascondono l’evidenza per contenere la rabbia.
Da settimane, mesi, al Testet gli sbirri e i loro alleati si divertono un mondo: agguati e pestaggi organizzati dalle forze dell’ordine, distruzione di materiale medico, tiri di granate su alcune roulotte, colpi bassi di ogni sorta. La maschera del mantenimento dell’ordine crolla, la polizia applica una logica di guerra.
Di fronte a questa constatazione indignarsi non serve a niente. Bisogna invece organizzarsi ed esserne all’altezza.
Lottare è vivere senza compromessi, e per questo coraggio sono pronti a farcela pagare cara. A Notre-Dame des Landes, come altrove, in tutti gli episodi di disordini la lista di feriti e mutilati è infinita, la lista di morti è lunga. Malik Oussekine a Parigi nel 1986, Vital Michalon a Malville nel 1977, Carlo Giuliani a Genova nel 2001, Zyad e Bouna a Clichy nel 2005, Alexis in Grecia nel 2008, Mohammed Bouazizi in Tunisia nel 2011.
A volte la morte sconvolge un movimento intero. A volte una persona muore, un paese si infiamma.
La morte di Remì ci riempie di rabbia. Essa non è un errore commesso per caso dalla polizia, ma è parte inscindibile dei metodi che impiegano. Loro lo sanno, noi l’abbiamo sentito.
In realtà morte e mantenimento dell’ordine vanno di pari passo: dappertutto siamo controllati e sorvegliati, dappertutto ci uccidono o ci “suicidano” in certe occasioni. Se ci assassinano è perché nonostante la forte repressione noi restiamo ancora troppo vivi.
Se la lotta ci espone al pericolo, allora bisogna armarsi di conseguenza.
Le nostre armi possono essere di ogni sorta: la determinazione a agire che esplode dappertutto; la capacità di resistere insieme di fronte a degli schieramenti di polizia.
Armarsi è anche disarmare la polizia, lottare contro quelli che danno gli ordini e armano la feccia che ci spara addosso: governi, prefetti, imprese d’armi.
Per tutte queste ragioni troviamoci in piazza venerdì 31 ottobre e sabato 1 novembre, per rendere omaggio a Remì e per protrarre la rabbia che doveva essere la sua.
Rendiamo omaggio ai morti di strada, alla famiglia di Remì e a quella di Timothèe, assassinato a Tolosa dalla polizia il 17 ottobre 2014, 8 giorni prima della morte di Remì.
Adesso, dappertutto organizziamoci.