Racconti d’uscite: di bosco e di roccia

Il cielo è di un bell’azzurro profondo, tanto intenso da ferire gli occhi, il sole scalda discretamente -d’altra parte siamo ad agosto- ma all’ombra delle piante la temperatura si fa piacevole.

Dopo una mattinata tra pennelli e rullo mi posso finalmente rilassare, un caro amico è salito qualche giorno dalla Toscana e tra poco ci vedremo per farci una passeggiata nei boschi sopra casa, siamo entrambi reduci da due brutti infortuni e varie operazioni, io come già raccontato più volte alla caviglia, lui alla spalla.

L’idea è quella di sgambare fino ad un vecchio alpeggio abbandonato poco sopra il paese o in alternativa farsi un giro attorno al campo che ho allestito oramai molti mesi fa a pochi minuti dalla porta di casa; optiamo per la seconda possibilità ed arrivati al davanti al focolare decidiamo di esplorare i boschi limitrofi servendoci come traccia delle piste degli animali.

Ci avviamo nell’erba alta e secca -non piove da tempo- seguendo le evidenti tracce di un cinghiale, l’erba è schiacciata e in alcuni punti, oltre ai classici “avvolgimenti” degli steli, notiamo le tipiche buche scavate dai nostri alla ricerca di radici da mangiare.

Arrivati nei pressi di una quercia completamente avvolta dall’edera incontriamo quelle che scopriamo essere state le nostre due guide, una coppia di bei cinghiali che infastiditi dalla nostra inaspettata presenza si tuffano in discesa fra i sassi che rotolano sotto i loro piccoli zoccoli, il frastuono è notevole, la terra sotto di loro rimbomba sorda.

Continuiamo a salire ed ora cominciamo ad incontrare i primi affioramenti rocciosi che aggiriamo con facilità, so che più procederemo più la loro presenza si farà familiare, il gioco starà nel seguire le tracce giuste ed infilarsi nei passaggi boschivi che si dipanano fra placche rocciose apparentemente solide e mucchi di massi e sfasciumi, seguire dei cervi ci avrebbe evitato le sorprese che ci sarebbero spettate in caso avessimo battuto delle piste di camosci…ovviamente le impronte che incontriamo sono l’inconfondibile forma degli agili velocisti dei rilievi…poco male, basterà leggere con più attenzione il territorio circostante per evitare sorprese.

Procediamo con tranquillità, G. è un “apuanista” esperto e questo mi rassicura, spesso mi sento responsabile anche per i compagni d’escursione ed anche per questo preferisco vagabondare in solitaria ma in questo caso ogni preoccupazione sarebbe superflua, basta soltanto non affrontare tratti di roccia perché il terreno non è propriamente il suo e oltretutto la spalla non è ancora recuperata al cento per cento ed infatti ci troviamo subito a dover scegliere se ridiscendere verso le vecchie vigne sottostanti o affrontare una piccola balza rocciosa sopra la quale dovremmo trovare nuovamente del terreno calpestabile in orizzontale, lascio la scelta a G. e decidiamo di procedere verso l’alto, la roccia è poca ed il passaggio non troppo ostico non fosse per l’immancabile rosa canina che con le sue spine battezza il passo chiave, un facile ribaltamento dopo aver risalito una breve placchetta a 60 gradi dove la maggior difficoltà sta proprio nell’evitare di farsi irretire dalle maledette spine.

Salgo per primo ed effettivamente il passaggio non è impegnativo ma ha un certo ingaggio psicologico per chi non ha dimestichezza con la scalata, oltretutto la rosa è piazzata proprio in uscita e c’è da stare attenti a non farsi carezzare la faccia dalle sue numerose propaggini dalle quali mi districo non senza aver cominciato una discussione, che continuerà per tutta l’uscita, con il divino.

Sono sulla cengia sovrastante, il terreno pare migliorare, ora sta a G. salire ma la scarsa attitudine alla roccia e la presenza delle rose non lo aiutano, ha delle difficoltà; fortunatamente nello zaino ho un minimo di attrezzatura da montagna -che si rivelerà in seguito una vera e propria manna- tra cui una bambola di corda da 20 mt, ne assicuro quindi un capo ad una quercia e ne getto una parte all’amico in difficoltà che così, dopo aver fatto conoscenza con la signora rosa, riesce a salire, recuperiamo la corda e ripartiamo.

Il bosco ora si apre, la pista che abbiamo trovato e che stiamo seguendo procede piuttosto esposta ma ampia sul bordo di un salto di circa una decina di metri, il panorama pur conosciuto mi affascina sempre, procediamo spediti per trovarci nuovamente di fronte ad un passaggio impegnativo: la pista finisce di netto e le uniche possibilità di andare avanti risiedono o nel procedere in verticale per rocce che però sembrano terminare piuttosto in alto, o affrontare un traverso sempre su roccia utilizzando uno zoccolo lungo circa 4 mt e largo 10 cm, la scelta più ovvia è quest’ultima però il passaggio è molto esposto, una caduta sarebbe rovinosa; valuto i passi del traverso che dopo alcuni primi passaggi comodi e ben ammanigliati si rivelano essere privi di appigli seri, non sarebbe un problema se lo zoccolo fosse in pari ma invece scende con una buona pendenza e sul tragitto ci sono alcuni ciuffetti d’erba che danno davvero poca sicurezza.

Torno sui miei passi immaginandomi l’eleganza dei camosci che in quel punto probabilmente passeranno con noncuranza bilanciando sapientemente il loro peso una zampa avanti all’altra, quasi fossero su una passerella ma noi non siamo camosci ed un po di elettricità lungo la spina dorsale si fa sentire; è nuovamente il momento della corda, ad un capo eseguo un nodo piuttosto grosso che tento di impigliare in una forcella molto acuta fra due rami di quercia, purtroppo però non riesco nella procedura, provo ancora e ancora ma nulla. A questo punto G. nota un moncone di ramo e suggerisce di prenderlo al lazo, geniale! Realizzo un cappio sicuro e con pochi lanci il moncone è accalappiato, il ramo pare solido, ora non resta che tendere la corda e creare così il nostro piccolo tratto attrezzato.

Trovato il giusto spuntone di roccia realizzo un mezzo barcaiolo e metto in tiro la corda, spiego a G. come manovrare il nodo e a quel punto estraggo dallo zaino due cordini da scalata di adeguata lunghezza e due moschettoni a ghiera, fortunatamente prima di uscire avevo preparato la mia piccola arca da montagna, due esemplari di ciò che ritenevo utile e quindi i citati cordini e ghiere, due rinvii e due fettucce, oltre che il reverso.

Con il mio cordino realizzo un imbrago d’emergenza, G. segue il mio esempio e fa altrettanto, il piano è il seguente: io avrei traversato lo zoccolo assicurandomi con il moschettone alla corda tesa sperando, in caso di caduta, che il ramo si dimostrasse solido come sembrava, una volta arrivato dall’altra parte avrei allestito una sosta sull’albero e recuperato G.

Traverso piuttosto facilmente ed allestisco la sosta su quercia usando la fettuccia, sistemo la ghiera sulla quale realizzo un mezzo barcaiolo e scopro -ma avrei dovuto immaginarlo- che G. non è pratico di nodi e non sa realizzare il nodo delle guide. Non è un problema, recupero la corda, lo eseguo io, gli lancio il capo con il nodo ed in un secondo siamo nuovamente fianco a fianco, G. ha eseguito il traverso con una tecnica alpinisticamente non ortodossa ma con una tranquillità notevole, mi ha spiegato poi che passaggi simili a quello sono abbastanza comuni nelle zone che frequenta, bene così.

Purtroppo dopo letteralmente pochi metri ci troviamo nuovamente a dover scegliere se scendere o salire ed in ogni caso sfruttando l’attrezzatura che fortunatamente avevo buttato quasi profeticamente nello zaino, la scelta che si pone è fra una scalata di qualche metro sino ad una cengia che pare poi ripartire a sentiero, o una doppia di 6/8 mt fino al bosco sottostante, inizialmente decidiamo di scendere ma l’allestimento della doppia presenta dei bei rischi poiché la quercia sulla quale avremmo dovuto preparare la calata era al termine di un traversino su scivolo roccioso coperto di terra smossa, non il massimo, decidiamo quindi di salire, io sarei andato da primo, avrei allestito una sosta su un frassino poco sopra e avrei recuperato prima gli zaini calando del paracord e poi G.

Allestisco una sosta sulla quercia innanzi a noi, spiego a G. come manovrare il nodo di sicurezza e comincio a valutare la roccia che fortunatamente è stranamente solida, anche se sporca.

Comincio a salire e mi rendo conto di quanto il passaggio non sia facile come sembrava, ci sono almeno 4 movimenti di IV su roccia terrosa piuttosto divertenti per me, ma come li avrebbe affrontati G.? Intanto saliamo…Schivo l’immancabile rosa in uscita e raggiungo l’obiettivo frassino, è bello solido e dritto se si eccettua una sorta di sinuosità a circa 1,5 mt d’altezza ottima per allestire la sosta, recupero prima il mio zaino ed i bastoncini da trekking utilizzando come preventivato il paracord, poi allestisco la sosta e comincio a recuperare G. che però non è abituato a scalare e non riesce a gestire i movimenti dei piedi, non si fida degli appoggi e si ritrova a tenersi di braccia, cosa che con la sua spalla non è il massimo, facciamo vari tentativi ma nulla siamo in un cul de sac, oltretutto mi sono reso conto che di li in poi la questione si sarebbe fatta ancora più alpinistica, avendo sopra di noi, ora, almeno un 20/25 mt di roccia, G. insiste a provare stoicamente il passaggio ma ad un certo punto spiegandogli la situazione propongo di ripiegare verso il bosco realizzando un paio di doppie, dopo qualche minuto di riflessione decide quindi che effettivamente la soluzione appena proposta è la migliore, oltretutto il sole si è già nascosto dietro il monte, lo ricalo quindi fino alla cengia da cui era appena partito e mi appresto a raggiungerlo -non senza un paio di caldi abbracci di rosa canina- eseguendo una doppia sul frassino.

Ora siamo proprio sopra la quercia che ci avrebbe riportato su un terreno escursionistico normale, si tratta solo di raggiungerla ed allestire una calata sicura; scendo per facili roccette e mi sistemo cavalcioni su un grosso ramo aggettante, ottimo davvero, sistemo la corda e preparo la calata, questa volta sarebbe sceso prima G. perché essendo una doppia abbastanza impegnativa ho deciso di usare la tecnica di calata ortodossa che utilizzo in montagna: reverso come freno di calata e nodo Machard come blocco di sicurezza, non essendo G. avvezzo a certe tecniche voglio preparare tutto io ed assisterlo nelle operazioni, avrei poi recuperato il materiale e sarei sceso a mia volta.

Ora G. è accanto a me e gli spiego la procedura che invero avevamo già effettuato un paio di volte, una durante una sorta di uscita didattica, ed un’altra durante l’unica via lunga che abbiamo provato a scalare assieme, non è quindi propriamente digiuno della tecnica ma necessita di una rinfrescata alla memoria.

Ci siamo, G. comincia a scendere manovrando magistralmente il Machard per regolare la velocità di discesa ed in pochi istanti è a terra, recupero quindi cordino e reverso e eseguo la doppia a mia volta, siamo a terra e per di più a due passi dalla strada silvopastorale!

Gettato alla rinfusa il materiale nello zaino ci dirigiamo verso casa e due meritate birre soddisfatti della “passeggiata”, intanto io rimugino sulla placconata sopra il frassino, sulle fessurazioni della roccia che pareva compatta e sulla possibilità di tornarci con il socio di scalata o in autosicura, il tarlo ora è li che rosica e rosica e la possibilità di aprire un itinerario di alpinismo boschivo mi alletta non poco, ne riparleremo…

Questa voce è stata pubblicata in Escursioni, Montagna e contrassegnata con , , , , , , . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *