[Avevamo pubblicato qui la brutta notizia dell’arresto di Marco, a Milano, accompagnata dall’espressione della nostra solidarietà. ma se la solidarità va ad ogni sincero rivoltoso, quando lo Stato colpisce, essa non può andare a chi si dissocia dalle proprie azioni. Perché non siamo solidali delle sfighe repressive, ma della dignità della rivolta !]
Tolosa, 21 febbraio 2015. Una manifestazione contro la diga di Sivens e (per qualcuno) le nocività di questo mondo si accende, come molti prevedevano, e finisce in scontri con gli sbirri e danni a negozi, auto ed arredamento urbano. Come spesso accade, purtroppo, ci sono degli arresti fra i manifestanti. Fra di loro c’è François. Secondo le merde dei giornali sarebbe stato arrestato mentre sfondava a colpi di mazza le vetrine di un’agenzia immobiliare e di un negozio di arredamento.
François rifiuta il processo per direttissima e passa quindi davanti al giudice il 25 marzo, dopo un mese di preventiva. Ecco alcuni estratti della sua dichiarazione : “Mi sono lasciato tirare. […] Da una parte i poliziotti, dall’altra noi. Ho fatto l’errore di considerare i poliziotti come dei nemici, gli altri come miei amici. […] Mi è stata data una mazza. Me ne sono servito. Sono desolato”.
La giudice, che è una boia, ma non è scema, gli chiede cosa ci faceva a Tolosa, visto che abita all’altro capo della Francia, a Rennes, e per di più con una maschera antigas sul volto. François se la gioca da ex studente pacato e gentile, si dice “toccato dall’ecologia”. La giudice, da buona boia nient’affatto scema, fa il suo lavoro e lo rimanda al fresco per altri cinque mesi, più 6 di condizionale e l’obbligo di pagare i danni.
Milano, 1 maggio 2015. Una manifestazione contro Expo e (per qualcuno) questo mondo nocivo si accende, come previsto anche dalle pietre, e finisce in duri scontri con gli sbirri ed ingenti danni a negozi, auto ed arredamento urbano. Come spesso accade, purtroppo, sbirri e magistrati si vendicano a freddo. Il 19 maggio Marco viene arrestato a casa sua. Seconda l’accusa avrebbe preso parte al pestaggio di uno sbirro. Accusa secondo loro provata da alcune foto scattate da giornalisti e circolate sui media, che lo ritrarrebbero a viso parzialmente scoperto.
Durante l’interrogatorio di garanzia, Marco dichiara [1]: “Ho visto che gli agenti portavano via una ragazza in modo violento ho preso un bastone che si trovava per terra e ho colpito un poliziotto. Poi sono andato via. […] Ho agito in modo impulsivo, sono rammaricato e chiedo scusa al poliziotto”. Non sappiamo se il fatto di mettersi a strisciare gli servirà per ridurre il conto in tribunale.
Ma perché chiedere scusa? Perché annullare con un gesto di vile accomodamento degli atti di sincero coraggio e, cosa ancora più importante, le ragioni per le quali lo si è fatto? Possiamo comprendere il fatto di non voler peggiorare la propria situazione. Ma nessuno pretende che si sputi in faccia al giudice (c’è chi lo fa e tanto meglio, ma è una sua scelta individuale). Basta stare zitti.
Perché abbassarsi a quel punto? Per paura? Per opportunismo (che poi spesso non funziona)? La paura è un sentimento umano e comprensibile, ma non giustifica il tradimento, né di altri né delle proprie idee. L’opportunismo… Cambiare atteggiamento, cambiare discorso secondo l’opportunità, secondo la direzione del vento. Ma oltre a chi sceglie di rinnegare per beccarsi meno galera, c’è anche chi non può oppure, per dignità a coerenza, non vuole farlo. E quando qualcuno si presenta in tribunale come un bravo ragazzo, implicitamente sta già facendo una distinzione fra sé stesso ed i cattivi.
Ma allora perché andare a fondare vetrine, perché randellare uno sbirro? Se pesto uno sbirri lo faccio perché quel servo in divisa mi fa schifo, perché finché esisterà uno sbirro, la libertà sarà lontana. Oppure lo faccio per gregarismo, perché lo stanno facendo altri?
Se vado ad una manifestazione che si preannuncia calda e non voglio problemi, non sfondo vetrine (ci si potrebbe anche chiedere perché andare ad una manifestazione se non si vogliono problemi, e a cosa serve una manifestazione senza problemi, ma lasciamo stare…). Se davvero voglio qualche brivido, resto a guardare, come fanno già in troppi. Come i troppi che fanno foto, una pessima abitudine che ormai è di moda tollerare. Tra l’altro in quanti si paga la leggerezza di non voler allontanare (con le buone o con le cattive, meglio con le cattive) giornalisti professionali o “alternativi”, che vanno alle manifestazioni non per manifestare, ma per fabbricare prove che spesso sono molto utili per polizia e magistratura? Qualche macchina fotografica, telecamera o smartphone spaccato in più, vorrebbe dire dei compagni in meno in galera, quando ce accorgeremo?
Ma torniamo al fatto di pentirsi dei propri cattivi impulsi, quando va male. Qualche anno fa la chiamavano dissociazione.
Non c’è nessun obbligo di fare alcunché, ognuno fa solo quello che si sente, ma deve esserci la responsabilità delle proprie scelte. Ognuno deve assumerle fino in fondo.
E se credo davvero in quello che ho fatto, perché negarne le ragioni quando va male? Nessuno vuole martiri. Ma come dice il proverbio, un bel tacere non fu mai scritto. Certi gesti parlano da soli. Chiederne scusa significa che non erano fondati su ideali di liberazione, tanto vale, allora, andare a picchiarsi con gli sbirri allo stadio.
Cosa significa assumere il proprio ideale rivoluzionario, con tutte le conseguenze pratiche che ne derivano? Che, appena va male, le idee non sono altro che belle parole da accantonare? Perché questo tentativo di sfangarla a tutti i costi, anche a costo della dignità? Se questa attitudine viene accettata (per esempio perché “non si critica qualcuno che sta in galera”), allora in cosa gli anarchici e i rivoluzionari sarebbero diversi dalla sinistra? In cosa saremmo eticamente diversi dalla sinistra, in cosa saremmo rivoluzionari? Per le vetrine spaccate, quando va bene e non ci si fa beccare? Non è abbastanza. I metodi non bastano, un mezzo è un mezzo e nient’altro e può essere usato da tutti. Anche un nazista può spaccare una vetrina o pstare uno sbirro. La mafia fa più vittime fra sbirri e magistrati di tutti i rivoluzionari d’Europa messi insieme. Non spargo una lacrima per loro, ma nemmeno plaudo alla mafia. Perché quello che importa sono le idee, un ideale di libertà individuale, ed il modo in cui applico queste idee concretamente, nella mia vita, con tutte le difficoltà e i compromessi che non posso evitare. Quello che importa è la coerenza fra le mie idee e pratiche, ciò che significa tra l’altro un comportamento degno anche nelle avversità, il rifiuto di rinnegare le proprie idee. Questo tentativo di coerenza è una tensione sempre insoddisfatta, ma essa dà senso a quello che faccio e quello che dico. Altrimenti l’anarchismo si ridurrebbe a una sfilza di belle frasi, la rivoluzione a una chiacchiera come tante altre.
La rivoluzione… e anche i piccoli tentativi conflittuali che facciamo nel frattempo, sempre tenendo d’occhio quell’obiettivo forse lontano, ma forse dietro l’angolo.
Chiederemo forse permesso? E se poi andasse male? Basterebbe chiedere scusa?
Meglio maleducati che venduti.
Note
[1] Si possono leggere queste dichiarazioni sulle edizioni on line del Corriere della sera e di Repubblica del 21 maggio, edizioni locali di Milano.