Racconti d’uscite: Tre giorni al bosco estivo

E via. Dopo una mattinata di lavoro la prima tappa è al recupero di due sodali appena giunti da lontano, l’appuntamento è in un classico parcheggio di un centro commerciale, là dove l’aria calda crea un bavaglio d’afa difficilmente sopportabile o almeno lo è per me, loro arrivano da lidi assai più caldi e sono infatti più a loro agio di me con queste temperature tropicali, oramai usuali anche qui sull’alpe ma alle quali non mi riesco ad abituare.

La seconda tappa prevede una fermata a casa, devo preparare lo zaino, le masserizie sono già accatastate al lato del letto, pochi minuti e ripartiamo alla volta del campo base che ho individuato per questi tre giorni: una bella radura poco sopra i 1400 metri sotto la quale scorre un impetuoso fiume alpino, tutto attorno fragoline di bosco ed imponenti larici.

Ci siamo quasi, lasciato un piccolo paese dal nome di santo, imbocchiamo, coadiuvati dalla fida Panda, una sterrata che dovremo percorrere per poco più di un Km, avremmo potuto farla a piedi, ma è completamente esposta e no, di sole ne ho già preso abbastanza nei giorni precedenti.

Parcheggiata l’auto sotto un castagno fronduto ci avviamo lungo un largo sentiero in direzione di un’antica presa d’acqua che porta il prezioso liquido sino al mio paese qualche centinaio di metri più sotto, poco prima di raggiungerla prenderemo il bosco e, seguendo alcune evidenti piste d’animali giungeremo al luogo prestabilito per l’allestimento del campo.

Ci siamo, il posto non richiede un avvicinamento impegnativo, posiamo gli zaini dopodiché inizio ad illustrare l’area agli altri due: zona recupero acqua/sciacquo gavette, zona ad alta concentrazione di zecche e zona “piscina con cascata” nella quale rinfrescarsi.

Siamo arrivati relativamente presto, il campo è da allestire ma di luce ce ne sarà ancora molta, ma chi ha tempo non aspetti tempo e quindi via con la sospensione delle amache: la particolare posizione di tre alberi ci permette di sistemarne due sfruttando tre piante in modo da disporle a “V” e di utilizzare un solo tarp per coprirle entrambe; sistemata la zona notte il passo successivo è quello dell’allestimento del focolare, recuperiamo alcune pietre, le disponiamo in circolo e, mentre gli altri si occupano della raccolta di legna, io preparo un tre piedi da utilizzare e per sospensore delle gavette durante la preparazione del cibo e come appendi-tutto una volta cucinato.

Inizia ad imbrunire ed un venticello fresco comincia ad alzarsi, la zona notte è pronta, la cucina idem, è l’ora di preparare il fuoco, mi reco in cerca di esche adeguate che mi vengono fornite da alcune betulle cadute dalle quali raccolgo un buon quantitativo di corteccia, cosa chiedere di meglio? Pochi minuti ed il fuoco parte, dobbiamo accudirlo per un po’ visto che la legna, anche se sospesa e secca, ha immagazzinato una discreta umidità. La fiamma arde incerta per qualche tempo, poi il calore vincerà la resistenza dell’umido, il tepore del fuoco ci culla, le sue lingue disegnano arabeschi guizzanti.

La cena è a base di Bulgur ed un sughetto di verdure assai gustoso, portato da uno dei “forestieri”.

La notte giunge a lunghe falcate, finiamo di cenare che il sole è già scomparso da tempo là ad Ovest, dietro la montagna. Il primo giorno sta morendo, ci accingiamo ai nostri giacigli, il vento rinforza.

La notte non è delle migliori, l’aria è fresca ed umida, molto mossa, il mio sacco letto leggero è appena sufficiente a contenere il calore corporeo, in più il telo, sistemato com’è sistemato non aiuta certo a ripararci dalla corrente, generalmente lo organizzo differentemente ma la presenza di un secondo ospite (sprovvisto di copertura) ha viziato discretamente il montaggio.

Dormo a sprazzi, la mattina arriva comunque velocemente e c’è anche il tempo per qualche sogno: volpi, tante volpi.

La mattina è fresca, mi alzo cullato dal rumore delle acque e dal cinguettio degli uccelli, è fresco.

Indossato il fido parka comincio a riempire la Kuksa di fragoline di bosco, raccolgo per tutti, c’è frutta a sufficienza.

Terminata la raccolta della frutta recupero anche qualche giovane getto di Larice da infondere in tisana, accendo il fuoco ed in breve l’acqua bolle, la tolgo dalla fiamma e, dopo aver atteso qualche tempo per far calare la temperatura e tutelare così la vitamina C, termolabile, , metto in infusione il larice con qualche fragolina schiacciata, arrivano anche gli altri, la colazione è servita.

Corroborati dalla tisana ci avviamo all’esplorazione del lungo torrente, portiamo con noi anche il necessario per la calata: due corde da 20mt, cordini, moschettoni, potrebbero servire.

Ho battuto sommariamente la zona qualche mese fa e per questo ho un’idea di massima del percorso da seguire e mentre ci accingiamo a raggiungere un salto roccioso dal quale vorrei calarmi verso il fiume ecco pararcisi innanzi un bel maschio di camoscio che contrariamente all’abitudine di questi splendidi animali non scappa ma anzi, ci fissa tranquillo da pochi metri di distanza, non pare particolarmente intimorito dalla nostra presenza, non lo è proprio: distoglie lo sguardo più e più volte, si lecca una spalla, ci fissa ancora e se ne va lentamente, in maniera assai rilassata ed inconsueta.

Raggiungiamo il bordo del salto di roccia, molto più in basso il fiume frusta i suoi argini scavati nel solido Gneiss urlando contorcendosi, voglio scendere ma non ci sono ancoraggi utili per la corda.

Individuo una linea di discesa meno impervia poco a destra del salto, meno ardita e soprattutto offrente numerosi alberi da utilizzare come sosta.

La discesa è semplice ed opto per una calata classica utilizzando il metodo di doppia che prevede il corpo come freno e la corda che passa sotto una natica e sopra una spalla, siamo in riva al fiume ma non possiamo procedere oltre a meno di non calarsi per una decina di metri lungo un altro salto di roccia.

Scendendo un roccione e spostandomi su una crestina aerea raggiungo le fronde di un alto Pioppo, ci sono rami sufficientemente grandi e solidi per allestire una linea di calata, certo raggiungerli non sarebbe privo di rischi, ma dovrei farcela con relativa facilità, basta raggiungere il bordo cresta, afferrare un lungo ramo e raggiungerne la forcella con il tronco solo che uno dei soci di giornata non è avvezzo non tanto alle manovre di calata, è comunque un arrampicatore, ma non è capace nella realizzazione di un imbrago di emergenza, decido quindi di risalire verso di loro, torneremo sui nostri passi e cercheremo una discesa alternativa che non preveda calate verticali.

Risaliamo, camminiamo, ci infrattiamo e finalmente raggiungiamo il nostro obbiettivo abbastanza agevolmente e con molti meno rischi. Si sentono moto in lontananza.

Seguendo delle piste d’animale dipartenti dal fiume guadagnamo velocemente quota, sudo per i troppi strati di vestiti ma comunque in breve tempo siamo nuovamente innanzi al focolare, indosso una maglietta asciutta, lavo la camicia al fiume e la metto ad asciugare, cominciamo a pensare al pranzo, riso basmati con un condimento da pasta fredda.

Dopo mangiato ne approfittiamo per una breve pennichella al tepore del primissimo pomeriggio, giusto il tempo per recuperare un pochino di sonno per poi dedicarci al programma del pomeriggio ovvero le tecniche di risalita di corda a mezzo nodi autobloccanti e l’allestimento del sistema di discesa e la susseguente calata lavorando direttamente in sospensione ovvero risalita/discesa tutto in corda, appesi come dei ragni.

Individuato l’albero adatto e, passata la corda attorno a due rami posti a 5 o 6 metri di altezza inizio a spiegare i procedimenti di salita mentre allestisco il sistema, cerco di essere il più chiaro possibile perché uno dei due soci non ha mai fatto nulla del genere.

Inizio la risalita e dopo circa 3 metri mi fermo a tagliare un ramo secco posto proprio in mezzo alla mia linea di ascesa, utilizzo il seghetto del fido Ruike, da sotto recuperano il ramo che finirà nel nostro fuoco. Giunto a pochi metri dalla cima mi fermo e comincio a spiegare le procedure che sto attuando per convertire il sistema di salita in quello di calata, una volta a terra spiegherò meglio nodi e metodologia, pochi secondi e sono nuovamente con gli scarponi sul sottobosco.

Il secondo a salire è completamente digiuno di risalite, gli spiego ed illustro i nodi, sia gli autobloccanti nonché quelli da utilizzare in discesa, salirà pochi metri cosicché io possa assisterlo dalla cima di un masso adiacente all’albero.

Fatica ma è normale, all’inizio il movimento di alternanza della manovra dei nodi non è così intuitivo, la meccanica non è complicata ma necessita di pratica, comunque in qualche maniera riesce sia a salire che a calare in tutta sicurezza, l’altro socio invece conosce lo schema, ha solo bisogno di una rinfrescata e tutto procede tranquillamente.

Riponiamo il materiale e torniamo al campo, ci vuole un po’ di legna per la sera, il ramo non basterà certo, ci mettiamo all’opera con la raccolta ed io ne approfitto anche per un bagnetto corroborante, l’acqua del fiume è freddissima, un toccasana per abbassare la temperatura corporea frustrata dall’attività fisica e dal caldo che anche in bosco a questa altitudine si fa sentire, oltretutto il gelo è un balsamo per il mio piede disastrato.

Prima di cena decidiamo di raggiungere la panda al recupero di due coperte aggiuntive, ne ho sempre nel bagagliaio, li per ogni evenienza. La strada non è troppa ma usciti dal bosco, esposti al sole, il caldo ci assale, il mio bagnetto è vanificato quasi del tutto, e pensare che al campo è quasi freschino…

Cominciamo a cucinare presto, la nostra cena un mix di farro e legumi che necessita di più di un’ora di cottura…in teoria, in pratica dopo ben più del tempo previsto i fagioli al suo interno risulteranno assai più coriacei del farro oramai molle, ci accontentiamo.

Lavate gavette e stoviglie mi accingo a migliorare la copertura delle amache, il vento sta rinforzando nuovamente e pare più fresco della sera prima, abbasso e stringo il più possibile il lato a vento del tarp, sperando che questo stratagemma, assieme alle coperte in surplus, ci aiuti a passare la notte più confortevolmente.

Il fuoco sta calando di intensità mentre il sole nuovamente muore, ci accingiamo alla seconda nottata.

Il vento è intenso e freddo ma la nuova inclinazione del tarp aiuta, le coperte fanno il resto, dormiamo bene, io ho quasi un accenno di caldo, tutta un’altra vita rispetto alla notte precedente.

La mattina mi sveglio come da consuetudine presto, ma rimango nell’amaca un’oretta a godermi alba, fiume ed uccelli.

Mi alzo ed indosso ancora il buon parka, il vento fresco è abbastanza intenso, mi scaldo montando il fornelletto a legna e mettendo a bollire l’acqua, mentre il liquido scalda ne approfitto per raccogliere le immancabili fragole, il solito Larice e del Timo serpillo individuato la sera precedente, il tutto finirà nell’acqua calda a creare un’ottima bevanda corroborante e ricca di vitamine.

Colazione, e legna, la mattina questo prevede, ce ne andremo dopo pranzo con calma ma decidiamo comunque di cominciare lo smontaggio prima di cucinare, giusto il tempo di due chiacchiere e gli zaini sono pressoché pronti, cuciniamo: fregola al pesto, davvero ottima! Ripristinata l’area, con l’eccezione del focolare che mi servirà nuovamente a breve ci avviamo sul sentiero di ritorno, il sole batte ma non ci facciamo caso, sono state delle giornate gravide di spunti e questo val bene sudare un po’ sotto il sole.

M.

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