La giornata è limpida, il sole lambisce la porta del terrazzo, l’idea di passare una giornata nel bosco mi alletta assai, tra l’altro necessito di corteccia di Betulla, che uso per avviare la stufa, mi risolvo quindi ad uscire, lo zaino è praticamente pronto, lo è sempre, c’è solo da aggiungere il cibo di giornata e riempire la borraccia.
Esco.
Mi avvio lungo il sentiero che diparte dal parcheggio del paese, la rampa parte subito decisa fra i muretti a secco, oramai parzialmente disastrati, che cingono le varie parcelle dei castagneti secolari che avvolgono in un abbraccio amorevole la borgata.
Il bosco dorme ancora, nonostante le temperature non siano così basse ancora non si vedono tracce di risveglio primaverile, a differenza dell’anno scorso quando le primule fecero capolino già a Dicembre…
L’aria è fresca, siamo intorno allo zero ma il vento, non fortissimo ma sufficientemente fastidioso, abbassa di qualche grado la percepita ma è mal di poco, camminare mi scalda quel tanto che basta per godermi a pieno l’uscita.
Il bosco, sono poco sopra i mille metri, è molto asciutto nonostante le nevischiate e la pioggia dei giorni passati.
Proprio in mezzo al sentiero incontro la prima traccia animale, una bella fatta di lupo già datata; salgo ancora verso una zona che in questo periodo e molto frequentata da camosci e soprattutto stambecchi ed infatti basta alzare lo sguardo ed eccolo la, ritto sul precipizio, uno splendido esemplare di Stambecco maschio che mi tiene d’occhio con la flemma consueta che contraddistingue questi splendidi animali, è di un marrone intenso e lucido, linneo.
Scatto qualche foto e proseguo.
L’idea di giornata è quella di seguire per un certo tratto il sentiero che salirebbe sino ad un vecchio alpeggino in disuso, per poi deviare lungo un tragitto non segnato che riprende la traccia di un’antica strada a mezza costa e così faccio; appena il tempo di notare le prime sparute tracce di neve che dal bosco mi si para innanzi una femmina di Stambecco che pare non voler farmi passare.
La signora mi squadra ma non fischia ne schiocca la lingua, è piuttosto tranquilla, gli spiego che, semplicemente, stiamo procedendo nella medesima direzione e che nelle mie intenzioni non c’era certo quella di infastidire né lei ne la sua famiglia, che scorgo fra le frasche a valle del sentiero e, quasi come se mi avesse compreso, si sposta blandamente sull’erta a monte del tragitto, subito seguita da un cucciolo e, poco distante, da un giovane maschio, che prima di allontanarsi mi scruta sornione.
Passo oltre, il vento soffia.
Le tracce di neve si fanno appena più consistenti, in lontananza odo lo scrosciare delle acque di un piccolo rivo che conosco bene.
Cammino beandomi del sole che mi carezza la faccia, per certi tratti procedo ad occhi chiusi usmando l’aria.
Tutto è bellezza, la vita brulica dietro ogni sasso, su ogni stelo, nel fitto della boscaglia, mimetizzato, un camoscio spia le mie intenzioni.
In questi contesti, è difficile da spiegare a chi non frequenti assiduamente il selvatico, i sensi si acuiscono, vista, udito, olfatto si fanno più fini e ricettivi, una sorta di sesto senso, che indica sempre con costrutto dove guardare per scovare vita nascosta, prorompe da un passato atavico, residuo assopito ma ancora ben presente, d’animalità.
Una Betulla caduta proprio a margine della traccia che sto seguendo mi regala la prima corteccia di giornata, mi fermo a raccoglierla anche se con un po’ di difficoltà, scricchiola e si spezza facilmente, dev’essere li da qualche tempo, seccata da vento e sole ma poco male, svolgerà comunque a dovere il suo compito di accendi-fuoco.
Il sentiero svolta, il bosco si chiude, la neve ora gracchia sotto gli scarponi, il clima è ideale per perdersi in pensieri i più varii, cullati dal mantra sgrac-sgrrrraaac delle suole che sprofondano nella neve.
Ora lo strato bianco è più corposo, all’ombra l’accumulo è di circa una ventina di centimetri, che si dimezza appena toccato dai raggi del sole; fra gli alberi spogli intravedo una radura a valle del sentiero, sembrerebbe un buon posto per attaccare l’amaca e pranzare, oltretutto lo stomaco brontola da un po’.
Mi dirigo verso lo spiazzo, il bosco è scosso a momenti da discrete folate di vento ma il sole picchia e quindi niente nuvole di neve, che rimane tutta a terra, un po’ molle.
La radura è percorsa da un’evidente serie di impronte di Capriolo e null’altro, sotto due nudi larici la neve è assente, come se un’invisibile chioma l’avesse trattenuta fra i suoi aghi.
Individuo un buon posto per fermarmi, appendo lo zaino, poi l’amaca, monto il fornellino a legna, riempio la gavetta della borraccia di neve, è il momento di fare combustibile, non ce ne vuole assai, giusto quello necessario per far sciogliere la neve, bollire l’acqua e cuocere i Noodles che mi sono portato dietro.
Poco distante da me un albero caduto da tempo mi offre del discreto materiale asciutto, raccolgo i rametti aerei, che non hanno avuto possibilità di impregnarsi di umidità come sicuramente avranno fatto i loro gemelli a contatto con il suolo.
Ho raccolto abbastanza, sia in quantità che in spessore.
Poco lontano una Betulla, anch’essa a terra, mi dona un buon quantitativo di corteccia, una piccola parte della quale uso per avviare il fornelletto.
In pochi minuti l’acqua è a bollore, è l’ora di buttare la pasta.
Mentre il cibo si cuoce ne approfitto per godermi il sole sull’amaca e, nonostante il vento che romba nella valle, mi pascio del panorama allettato dall’aroma di Curry che sale dal pentolino, quasi mi assopisco.
Il cibo è pronto, il primo boccone certifica il pranzo con l’ustione del palato, tutto come da prassi.
Finito di rifocillarmi decido di godermi ancora per un poco l’amaca, dopo di che, lavata gavetta e fornelletto con neve e ciuffi d’erba come paglietta, ricompongo lo zaino e riparto verso casa decidendo di chiudere una sorta d’anello dirigendomi verso l’Armaita, l’alpeggino abbandonato, per poi discendere verso il paese: devo quindi salire ancora un centinaio di metri lungo il bosco per intercettare una silvo-pastorale che mi trarrà sino all’alpeggio da cui diparte il sentiero di ritorno.
Appena giunto sulla strada, cucù! Da una curva cieca fa capolino un bel Camoscio che mi osserva incuriosito, mi fermo per non impaurirlo, non è certo improvido come uno Stambecco, ad un minimo mio accenno sarebbe pronto a gettarsi a capofitto lungo le ardue pendenze del bosco.
Scatto alcune foto, mi muovo impercettibilmente e, come sperato, il mio amico se ne va in tranquillità, senza scatti isterici.
Il ritorno procede spedito, la neve torna a farsi rada, poi sparisce, già sotto si vede il paese.