L’aspettavo da tempo, la mattinata nella quale alzatomi, avrei trovato tutto imbiancato e sarei partito per il mio tradizionale giretto da “prima neve” e il mattino del 26 Dicembre finalmente eccoci giunti al punto.
Invero non tratterebbesi della vera e propria “prima nevicata” della stagione, in realtà sarebbe addirittura la terza ma mentre le prime due furon ben più scarne ed assai più effimere questa natalizia si è presentata con più deciso vigore e parrebbe introdurci in quella parte di stagione fatta da giornate che a poco a poco si allungheranno, minime decisamente sotto lo zero ed imbiancate repentine.
Alzatomi, uno sguardo dalla porta-finestra del bagno mi regala un panorama fiabesco, tanto da dubitare d’essere effettivamente sveglio e di star ancora vagando per le terre di Morfeo, ma no, è tutto lì innanzi a me, tangibile.
Mi vesto a strati mentre col pensiero tento di stilare un programma di massima per l’uscita canonica: détournement per i castagneti o giretto nei boschi dietro casa? Il fatto che questi due scenari si compenetrino impastandosi, a tratti non distinguendo più gli uni dagli altri non aiuta; il nodo maggiore è quello che vorrebbe la scelta dirimente rispetto la questione pedule: scarponi o stivali da neve? Certo lo strato del manto nevoso vorrebbe qualcosa di più protettivo come i secondi, ma i primi offrirebbero certo più grip in determinati contesti con il plus di poter essere implementati con le ghette…che non trovo, accidenti…opto quindi per gli stivali che son quelli che uso poi per i lavori invernali in legnaia, acquistati anni fa in ferramenta non sono propriamente dei “Duck boots” super isolanti ma svolgono il loro lavoro dignitosamente. Il dado è tratto.
Mi avvio placido lungo la silvo-pastorale d’inizio borgata ed il constatare lo stato intonso del manto nevoso mi provoca un innegabile piacere.
La coltre si dimostra subito abbastanza generosa con quei suoi 30cm abbondanti che aumentano gradualmente via, via che la salita procede.
Il panorama è cristallizzato in un silenzio puro, rotto solo dal gracchiare della neve sotto gli stivali e da quello una tantum delle ghiandaie in alto sui rami.
Le piante glassate da un consistente strato di neve generano forme le più inconsuete; dai laricetti antropomorfi mutati in dame Boldrinesche a possenti schiene di rinoceronti alla Durer celanti intrichi di rosa canina e rovi incurvati sotto il peso della coltre nivea, architetture stile Liberty meritevoli del miglior Coppedé e linee sinuose ed impastate degne di Gaudì; attraversando portali d’alberi caduti e di rami ricurvi, sipari di rami imperlati di neve e verglass, il silenzio è quasi assoluto, a tratti straniante, a momenti la nebbia rende il panorama ancora più inverosimile.
Oramai è deciso, si sale, certo evitando scalate ripide e potenzialmente pericolose, ma comunque si sale, fino a dove non mi è ancora dato saperlo, ma intanto si va.
Il manto nevoso è soffice e privo di fondo ma lo spessore fa si che sotto le suole si crei sempre il giusto strato di neve compressa, bella grippante sul terreno sottostante.
Lo strato cresce, ora la neve è ben sopra lo stivale, procedo con facilità, comunque, finalmente la forma sta lentamente tornando a livelli soddisfacenti.
Mi fermo sovente ad ascoltare il silenzio e ad ammirare il circostante, il versante a nord della valle, ricco di conifere, offre uno spettacolo impareggiabile
tanto quanto il mio paese là sotto che dall’alto pare quasi un diorama,
così come le pareti rocciose che mi sovrastano e dal quale sono felice, visto il giro oramai fissatosi nella mia mente, di osservare a distanza senza dovergli passare troppo vicino, so che più tardi le temperature saliranno e con questa neve fresca, senza un fondo che la trattenga, il rischio di distacchi è reale, meglio evitare brutte sorprese, tanto più che di opzioni ce ne sono a bizzeffe.
Imbocco il sentiero dei partigiani ma ad un certo punto devio lungo un percorso non segnato che transitando a mezza costa attraversa prima deliziosi boschi
alternati a pianoretti, poi un tratto potenzialmente delicato avendo a monte degli scivoli rocciosi che, più tardi col caldo, potrebbero scaricare neve ed anche per questo ho deciso di passarci in mattinata -non l’ho ancora svelato ma realizzerò un anello fra il mio paese e quello sovrastante- piuttosto che al ritorno e poi…e poi in questa zona, a quest’ora c’è la concreta possibilità di incontri interessanti.
Procedo fra rami carichi e panorami da cartolina quando il mio sguardo viene attratto naturalmente dalle tracce che a questo punto mi procedono, non capisco di chi si tratti, se stambecco, le cui orme a tratti sono chiare, o camoscio a momenti parimenti intelligibili, ma in tutto ciò qualcosa mi confonde, pare un’unica traccia di un animale poli-ungulato, che esista un’altra bestia mitica oltre al Daù? Il mistero è presto svelato quando un fischio penetrante attira la mia attenzione sul fuggi, fuggi in corso nel bosco appena a margine del sentiero, un branco misto e molto ampio di stambecchi e camosci: fuggono tutti e tutte, ad eccezione di due maschi che, a distanza di sicurezza mi controllano…
mi scuso, non volevo disturbare troppo, ma tant’è, procedo tentando di rompere le scatole il meno possibile, grama speranza almeno per un’altra buona parte del percorso nel quale soprattutto i camosci non gradiranno la mia presenza.
In questi casi, per evitare che gli animali si spaventino troppo e che rischino di farsi male conviene procedere con tranquillità verso la propria direzione senza fissarli e senza gesti scattosi o repentini al fine di intimorirli il meno possibile. Qualora le direzioni fossero le medesime soffermarsi un attimo per permettere agli abitanti del bosco di riprendere lucidità e decidere con calma dove mettersi in sicurezza non è una cattiva pratica. Mi spiace sempre essere elemento di disturbo per questi splendidi animali. Procedo.
Attraversati alcuni piccoli guadi mi ritrovo nuovamente in un bel bosco, ora le neve è quasi alle ginocchia, quadricipiti e polpacci bruciano leggermente, il fiato cadenza l’incedere ed ora il panorama si fa più tormentato,
devo passare sotto varie chiome prostrate dal peso della neve e sotto alberi caduti, è come attraversare numerosi portali, ognuno dei quali mi invita ad un panorama sempre diverso ed inaspettato pur col filo conduttore del colore bianco neve.
Il cielo, fino ad adesso grigio unanime, sta lasciando intravedere qualche timido raggio di sole, pare stia riaprendo ed io sono, a questo punto, precisamente a metà percorso.
Volgo le punte degli stivali verso il sentiero di ritorno che, invero, sarà una silvo-pastorale sino ad un paese abbandonato posto circa a metà strada fra dove mi trovo e la porta di casa, per poi tornare sentiero vero e proprio sino alla mia meta.
So che sino al paese il percorso non presenterà problemi, procedendo dolcemente in lieve discesa, ma da questo in poi…
Giungo alla tappa intermedia, infatti, con tranquillità e, prima di procedere oltre, mi concedo due passi fra l’alternanza di ruderi fatiscenti e casette ristrutturate con rispetto, molto bello, ma ora è giunto il momento di affrontare la prima insidia: una discesa ripidissima che speravo di trovare più innevata, lo strato c’è ma decisamente più sottile…una quindicina di centimetri a fronte dei 50 abbondanti attraversati sino a quel momento e questo perché in quel punto i rami di possenti alberi hanno accolto il grosso delle precipitazioni…lo strato sottile è un insidia perché senza fondo il rischio che scaglie di neve compressa si stacchino sotto lo stivale pattinando sul terreno ghiacciato è più che reale, con il risultato di trasformare la discesa in una sciata incontrollabile ed infatti a metà strada sbaamm! La prima di altre tre cadute quasi in successione e tutte senza conseguenza grazie al manto nevoso.
Ridacchio di me e della mia scarsa propensione alle discese innevate ma a mia discolpa c’è sempre l’invalidità della caviglia sinistra che non flettendo non mi permette di impostare a dovere la camminata e che in queste particolari condizioni si fa particolarmente sentire, ma tant’è…certo avessi avuto i ramponcini con me avrei ovviato, ma beh…se le ghette non le ho trovate quelli me li son proprio dimenticati…succede…passo -dopo una lotta che è sembrata infinita- i punti più problematici, a breve dovrei incontrare la mia pista di salita, ancora pochi metri ed ecco le mie impronte.
Oramai è uscito il sole e con orrore, una volta nuovamente sotto gli alberi, mi rendo conto che di li a casa sarà un gavettone di neve continuo…i primi due scarichi, il secondo dei quali si infila agilmente fra collo e camicia, mi fanno dir messa alla toscana, poi affronto il resto del percorso -e dei gavettoni- ridendomela e godendomi i panorami ora abbaglianti del bosco niveo.
Sono sulla porta di casa. Entrato metto su l’acqua per la pasta ed una tisana alla rosa canina. La mattinata è stata splendida come da speranze, i prossimi giorni promettono massime in rialzo, la neve non durerà troppo e mi spiace, ma almeno potrò riprendere i lavori in bosco che in questi giorni ho dovuto sospendere, d’altro canto il prossimo inverno è già alle porte…