Il racconto della mia rituale uscita dedicata alla prima neve; quest’anno però ho deciso di inserire nella narrazione anche due microtutorial legati all’ambiente innevato. Buona lettura.
Come ogni anno ieri (8 Dicembre) si è ripetuto il mio personale rito di “battezzare” la prima nevicata stagionale con un’uscita più o meno impegnativa ma immancabile.
Quest’anno ho deciso di coccolarmi un minimo e ho scelto di mettere assieme due delle mie passioni ma…non anticipiamo troppo.
Le previsioni davano neve dalle 6 del mattino, alle 7 controllo dal terrazzino lo stato dell’innevamento e decido che si, questa è davvero la prima vera nevicata dell’anno, preparo quindi lo zaino e sono fuori casa per le 9.
Nevica abbastanza insistentemente, fiocchi piccoli e fitti, mi avvio placidamente verso l’attacco di un sentiero poco fuori il paese, non ho una meta precisa ma essendo partito abbastanza presto mi riservo di vagliare ogni possibilità e capriccio, sarà il bosco a suggerirmi il percorso.
La neve è farinosa e ce n’è più del previsto, siamo a 20cm abbondanti in paese ma, appena approcciato il sentiero, al quale pago tributo con un bello scivolone da fermo, mi rendo conto che salendo gli accumuli saranno maggiori ed infatti solo dopo un 15/20 minuti di marcia la neve mi arriva quasi al ginocchio, proprio al limite delle ghette.
Il sentiero è ripido a tratti e il manto nevoso nasconde le rocce sottostanti che in queste condizioni sono viscidissime, slitto un paio di volte su delle pietre, devo cambiare metodo di progressione, decido dunque di utilizzare un modo di salita che in passato mi ha sempre aiutato:
(microtutorial) Invece di utilizzare i bastoncini che si alternano nella camminata contestualmente al passo, li avanzo assieme usandoli come sonda per saggiare il terreno sotto la neve, poi procedo con i piedi appoggiandoli in prossimità delle aste scoprendo quindi con un certo grado di sicurezza il terreno che andrò calcando; qualche anno fa ho usato con costrutto questa tecnica su una ripida frana di massi colossali, la possibilità di finire in un buco fra i macigni era più che reale e questo modo di procedere mi ha aiutato non poco.
Ove il sentiero si facesse ripido il piede, lungi dall’appoggiare normalmente, calcerà di punta la neve due o tre volte, avendo cura di compattarla sotto la suola dello scarpone in modo da creare una sorta di gradino che si reggerà sulla neve sottostante, conviene procedere a piccoli passi, niente falcate troppo lunghe per evitare di forzare troppo sui punti d’appoggio. Questa tecnica è utile qualora si dovesse risalire una piccola lastra di roccia o un massetto presente sul sentiero, non potendo sfruttare il grip dello scarpone su di essi utilizzeremo la neve come elemento strutturale, ottimo anche su pendii di media ripidezza.
Procedo così abbastanza spedito, la neve sta rinforzando.
Salgo con un po’ di affanno, gli infortuni in sequenza di questi mesi mi hanno tagliato decisamente il fiato e marciare nella neve non aiuta, decido quindi, secondo la mia logica ostinata e contraria, di aggiungere il carico da 11 infilandomi nel bosco fuorisentiero, ora oltre a rocce e roccette devo stare attento a rami e rovi sepolti, alberi caduti e quant’altro.
Dopo un certo periodo di détournement incappo in un riparetto sottoroccia, c’è traccia di mano umana nella costruzione, “chissà a quando risale” -mi chiedo- ma qualunque sia la sua età ciò non toglie che sia un ottimo posto dove fermarsi a mangiare, oltretutto a pochi passi ci sono due alberi morti in pianta, belli secchi.
Il riparo è stretto e piuttosto basso, con una mezz’ora di lavoro -forse qualcosa in più- potrebbe essere adibito a bivacco notturno ma io devo solo passarci un po’ di tempo per un aperitivo ed il pranzo, quindi basterà approntare un piccolo fuoco, nulla di più.
Allestire un focolare sulla neve richiede un minimo di perizia:
(microtutorial-2)
Innanzi tutto è necessario raccogliere il materiale combustibile ed in quantità sufficiente per alimentare il nostro fuoco per il tempo necessario alla permanenza o comunque per il lasso di tempo necessario affinché il falò riesca a bruciare in maniera indipendente e stabile.
Personalmente spiano l’area del fuoco compattando la neve se è molto alta, o liberando l’area sino al suolo sottostante (o quasi) se il manto e la consistenza della neve lo permettono. Questo serve ad evitare che il fuoco, fondendo la neve di base, sprofondi o collassi su sé stesso.
Le difficoltà del fuoco sulla neve sono legate sostanzialmente all’umidità del combustibile ed a quella che questo, anche se asciutto, potrebbe assorbire dall’ambiente circostante, per questo il materiale raccolto non andrà stoccato direttamente sul terreno, anche se non innevato, e ovviamente andrà tenuto al riparo dalle precipitazioni.
Conviene sempre dividere la legna per spessore e dimensione in modo da avere subito a portata di mano le esche primarie e secondarie, i legnetti sottili e quelli via via più grandi in modo da alimentare il fuoco gradualmente e dargli la possibilità di creare quel minimo di brace che renda l’ambiente funzionale ad una buona combustione.
La sistemazione della legna sul focolare -sempre importante- in ambiente umido/bagnato/innevato avrà ancora più importanza, un buon fuoco per bruciare bene necessita sì di legna asciutta, ma anche di ossigeno, per questo il combustibile andrà sistemato in modo tale che l’aria vi possa circolare intorno ed idem nell’aggiunta del materiale, soprattutto quando la fiamma è giovane ed instabile, dovremo aver cura di non “soffocarla” aggiungendone troppo ed a caso, pena lo spegnimento.
Il focolare non andrà posto direttamente al suolo perché durante la preparazione esche e legna potrebbero tirare troppa umidità e non funzionare a dovere, dovremo quindi creare una piattaforma di legna sulla quale allestire il fuoco.
Manteniamo sempre le esche asciutte, se le raccogliamo durante il tragitto facciamole asciugare il più possibile a contatto con il corpo, ad esempio tra primo e secondo strato isolante della parte superiore del tronco o in tasca.
Alcune esche bruciano bene anche da bagnate -corteccia di Betulla, resine secche e fresche…- ma sono più difficili da innescare ed andranno quindi trattate a dovere, se sappiamo di muoverci in un ambiente con condizioni climatiche avverse sarebbe il caso di avere con sé delle esche pronte all’uso e comunque raccoglierne sempre qualora se ne presentasse l’occasione.
Se la legna è molto umida sarà necessario “pulirla” con il coltello o l’accetta sino ad arrivare al cuore asciutto, il lavoro potrà risultare lungo ma farà la differenza.
Una volta che il fuoco è partito a dovere potremo avvicinargli la legna più umida ad asciugare.
Più presteremo cura nei preliminari e più il nostro fuoco avrà buone possibilità di innescarsi velocemente e di stabilizzarsi con altrettanta celerità.
Raccolta e quindi processata la legna preparo la base a terra e sistemo le esche primarie: corteccia di Betulla e resina secca di Pino che ho con me nella scatolina degli inneschi, erbe secche e ramoscelli secchi di Ginepro trovati sotto la balma.
Creo un piccolo teepee di ramoscelli sottili -circa 1 mm- come primo strato, poi qualcosa di più spesso.
Il fuoco parte subito con vigore, i ramoscelli prendono a dovere, aggiungo quindi dei rametti più spessi “puliti” dalla parte umida, oramai ho il fuoco che mi serve, mi dedico quindi all’aperitivo…
Quest’anno volendo coccolarmi ho deciso di creare un punto di contatto fra due delle mie passioni, il bosco e le tecniche ad esso collegate e quella nata oramai circa un ventennio fa per l’Absinthe autentico (sono co-fondatore dell’unica associazione italiana dedicata a questa bevanda: l’Académie d’Absomphe) …ho con me una bottiglia d’Edouard ed un indistruttibile “Torsade”
; realizzo una brouille con un contenitore in plastica, la riempio di neve e dopo l’aggiunta di un po’ d’acqua il goccia-goccia è perfetto.
Cosa c’è di meglio di un buon aperitivo in un ambiente incantato?
Sorseggio ed osservo la neve cadere,
ha rinforzato ed un paio di repentini cambi di vento la fanno sfrigolare sul fuoco, la fiamma guizza e crea volute e secchi colpi di frusta, è sempre seducente, a tratti ipnotica, l’odore delicato di Issopo ed anice verde si spandono frammisti all’acre odore del fumo; l’ambiente si è fatto abbastanza confortevole nonostante sia sostanzialmente aperto su tre lati, il fuoco fa fumare le ghette, stando vicino al focolare devo occuparmi in pratica soltanto degli scarponi perché il resto, ghette appunto, ma anche pantaloni e giacca, così come lo zaino, sono in cotone e quindi pesanti certo, ma più funzionali in determinati contesti rispetto ai tessuti tecnici sicuramente più performanti ma anche più fragili e sicuramente meno avvezzi a ricevere scintille e calore diretto, amo il demodé anche nel selvatico.
Mi gusto la bevuta con lenta voluttà ed una volta finita estraggo dallo zaino gavetta, riso basmati e ceci in vasetto, l’aperitivo ha assolto anche il suo compito meno meditativo e più corporale: ho fame.
Sciolgo la neve nel pentolino e raggiunto il giusto quantitativo d’acqua aggiungo il riso. A metà cottura è la volta dei ceci a finire in gavetta. In pochi minuti il pranzo è pronto.
Mi nutro con calma e finito di mangiare lascio che il tepore della fiamma mi culli ancora un po’; la lascio piano piano morire mentre riempio la borraccia di neve sino all’orlo. È il momento di rimettersi in marcia, ripristino l’area e sono nuovamente in moto.
Ora nevica meno, recupero il sentiero e salgo sino ad una borgata qualche centinaio di metri più in su, una volta raggiuntola prendo nuovamente la volta del fuorisentiero inoltrandomi in un bellissimo bosco di larici, alberi splendidi che in questo periodo, spogliati dei loro aghi autunnali color dell’oro, indossano un candido vestito niveo creando un paesaggio a tratti fatato.
Il silenzio è totale, solo il fischio lontano di un camoscio mi ricorda che pur sembrando solo sicuramente mille occhi mi staranno scrutando curiosi, forse un poco impauriti e disturbati, froge mi annusano, so di essere ospite e da tale cerco di arrecare il minimo incomodo possibile.
Nebbia e neve, larici imbiancati, silenzio, un ambiente evocativo e non però da sottovalutare ma posso comunque permettermi di perdermi nei miei pensieri, smarrirsi -in senso letterale- in questo ambiente potrebbe essere semplicissimo ma il versante tende in direzione Est, nord/est, basta seguire l’andamento del bosco (controllando di tanto in tanto la traccia che mi sto lasciando dietro) per procedere sicuro verso al destinazione che mi sono a questo punto preposto, uno dei miei luoghi segreti dove giungo dopo una ventina di minuti.
È l’ora del rientro, mi avvio verso casa soddisfatto, è stata un’ottima giornata ed il giusto tributo alla prima neve dell’anno, circa sette ore di silenzi ed un 800Mt di dislivello complessivo. La tradizione è degnamente rispettata.