A proposito di Xylella
Il caso Xylella, ovvero il disseccamento rapido degli ulivi in Salento, è sopraggiunto prepotentemente sulle cronache dei quotidiani che ogni giorno spendono paginoni interi; ciò accade in particolar modo da quando è stato nominato un Commissario straordinario a gestire la situazione. Con il Commissario è arrivata anche la gestione dell’emergenza e soluzioni drastiche e irreparabili per sconfiggere il nemico. E il linguaggio non è casuale perché i toni che vengono usati dai media sono quelli di una guerra di trincea. Per debellare questo patogeno è stato emanato un provvedimento esecutivo regionale che imponeva inizialmente di irrorare, per decine di chilometri quadrati, pesticidi e fitofarmaci sia sulle piante malate che su quelle sane, sui muretti a secco e sulla macchia mediterranea. Inoltre, si disponeva l’abbattimento obbligatorio di migliaia di alberi. Fantascienza vera e propria partorita realmente dalla mente geniale di qualche funzionario regionale (o europeo). In molti hanno alzato la voce e ora le misure sembrano ridimensionate, ma non esiste nessuna certezza su ciò che accadrà. Intanto i giornali fanno terrorismo quotidianamente pubblicando foto su foto di alberi ammalati e paventando un velocissimo contagio a causa del batterio Xylella, da frenare il prima possibile e con qualsiasi mezzo, e ovviamente, sponsorizzando uso massiccio di pesticidi e eradicazione. Ancora una volta viene creata un’emergenza e la si gestisce in maniera eccezionale dando tutti i poteri decisionali ad un Commissario che può e deve solo eseguire gli ordini, con le conseguenze che ciò comporta per eseguire il piano: espropriazioni e uso della forza pubblica. Non vi sono discussioni di sorta, ma solo imposizioni, e sanzioni in caso di violazione di queste ultime. Coinvolta nella gestione dell’emergenza sarà la Protezione Civile che ha già dato il suo via libera al piano di eradicazione e irroramento di pesticidi messo a punto dal Commissario straordinario. A chi scrive viene in mente l’uso che dell’emergenza è stato fatto in posti come l’Aquila, dopo il terremoto del 2009, quando il controllo di un’intera popolazione bisognosa di ogni cosa divenne, di fatto, il fine dell’emergenza o meglio un campo di sperimentazione, che si accompagnò alla sospensione giuridica e sociale delle libertà e dei diritti degli sfollati “ospitati” nei campi. La situazione “Xylella” è alquanto differente, ma analogo è l’intento di espropriare abitanti e olivicoltori di qualsiasi possibilità di decisione autonoma anche nell’utilizzo di pratiche di cura non inquinanti e non invasive.
Ma, esattamente, di cosa stiamo parlando?
Come si diceva, non esiste alcuna certezza che il disseccamento degli ulivi sia dovuto al batterio Xylella, o che questo sia patogeno per gli ulivi (e per altre piante da frutto e ornamentali che di tanto in tanto vengono chiamate in causa). L’unico dato certo è che prima dell’esplosione di questa cosiddetta emergenza vi siano stati due convegni a distanza di anni (nel 2010 e nel 2014), in cui si affermava l’esistenza di questo patogeno e di questa malattia nel Salento. La ricerca scientifica, tanto chiamata in causa in queste settimane, sembra essere schierata a favore della teoria del batterio, anzi c’è chi pensa che un esperimento durante un convegno presso lo IAM di Bari (Istituto Agronomico del Mediterraneo, non facente capo alla competenza giuridica di nessuno Stato, quindi extraterritoriale e sostanzialmente non sottoposto ad alcun controllo) proprio sulla Xylella sia all’origine di tutto. A questo convegno avevano partecipato esponenti importanti dell’Università di Berkley, in California. Esistono anche altre opinioni che smentiscono l’ipotesi batterio e che prevedono modalità di cura naturali. Ma rimane il dato che la ricerca scientifica non è affatto neutra; essa volge la sua bandiera a seconda del suo finanziatore maggiore e degli obiettivi utili a questo sistema economico e sociale per perpetuarsi. Spesso, per comprendere quali sono le direzioni di una ricerca, è sufficiente andare a vedere chi siano i finanziatori dell’istituto o Università che la porta avanti. I dati tecnici inoltre si smentiscono continuamente e hanno come unico risultato quello di rendere la questione confusa, ingarbugliata, poco chiara.
A qualcuno è venuto in mente l’esempio dell’Aids e quanto accaduto molti anni fa. Per convincere, su scala mondiale, coloro che presentavano alcuni sintomi ad assumere determinati farmaci è stato scatenato un terrorismo mediatico costante sia sulla malattia che sulle modalità di trasmissione, con il risultato di generare paura su paura, il tutto avvalorato da esponenti illustri della medicina e della ricerca scientifica. Questo sta accadendo anche in questo caso. Notizie diffuse in quantità massiccia che hanno il solo scopo di disorientare.
E quindi come sarebbe arrivato questo patogeno nel Salento? Impossibile dare una risposta.
Ciò che invece è appurato è il fatto che, qualche anno fa, alcuni funzionari della Regione Puglia parteciparono ad un convegno in Spagna organizzato da Syngenta, multinazionale agroindustriale che produce pesticidi e Ogm; convegno che si occupava proprio di Xylella negli ulivi in un periodo in cui questo fenomeno era sconosciuto nel Salento. Funzionari sicuramente dotati di chiaroveggenza.
Ciò che si conosce, ancora, è che Monsanto, altra multinazionale agroindustriale che produce pesticidi, Ogm e altri prodotti di morte, svolge ricerche sulla Xylella da almeno un decennio e comprende, nelle sue ramificazioni societarie, una partecipata dal nome Allelyx, rovesciamento proprio di Xylella. Monsanto disporrebbe dei semi di un ulivo Ogm resistente proprio a questo batterio. E chi produce la gran parte dei pesticidi che hanno impoverito il terreno e le piante e che dovrebbero essere usati in maniera massiccia sul tutto il Salento? Ma proprio Monsanto che diffonde Roundup (uno dei suoi diserbanti più venduti) come fosse acqua fresca, in compagnia di tanti altri grossi colossi dell’agroindustria. Ora, uno dei punti focali è proprio questo. Il probabile tentativo di trasformare una coltivazione, quella dell’ulivo nel Salento, in una coltivazione intensiva e industriale che usi Ogm e pesticidi per rendere le piante più produttive e più efficienti. La legislazione italiana, tuttavia, non consente ancora la coltivazione in campo aperto di Ogm, per cui ciò che si paventa sono solo i possibili scenari futuri.
Non esistono catastrofi naturali
Un vecchio manifesto affermava che non esistono catastrofi naturali ma esistono solo catastrofi sociali.
A dispetto delle misure estreme che istituzioni varie, Commissario e protezione civile vogliono mettere in campo, gli ulivi del Salento non sono affatto moribondi. Sono però dei malati gravi così come lo è il mondo in cui viviamo. La diffusione massiccia di pesticidi per decenni ha impoverito piante e terreno tanto da renderne difficile la reazione. L’uso costante di Roundup, da solo, potrebbe essere sufficiente a spiegare ciò che sta accadendo, essendo un disseccante altamente nocivo e tossico con conseguenze nefaste per il terreno, per i microrganismi, per la pianta. Il biologico e la naturalità degli alimenti sono dei campi minati, se si considera l’avvelenamento costante che è stato fatto per ottenere prodotti agricoli in tutte le stagioni e uno stravolgimento delle coltivazioni con terreni usati solo per monocolture o coltivati con pratiche tese esclusivamente a ricavare il massimo risultato. Ciò che si è ottenuto è che l’equilibrio ecologico è assolutamente compromesso e che le cosiddette emergenze capitano a puntino per rafforzare il potere di coloro che da queste situazioni vogliono esclusivamente ricavare profitto. La famigerata “rivoluzione verde” propagandata negli anni ’70 dalle Nazioni Unite in collaborazione con potentissime lobby, si proponeva di migliorare e rendere più produttivo il “Sud del mondo”, imponendo i pesticidi, le macchine, i semi usati in Occidente. In maniera analoga si sta cercando oggi di imporre universalmente i semi Ogm in agricoltura e un unico modo di coltivare, quello industriale, cercando di eliminare le ultime resistenze che ancora esistono. L’allevamento intensivo, con animali ridotti a mere macchine di produzione di latte, uova e carne e che abbisognano, per “funzionare”, di grandi risorse di pascoli e acqua, sono l’altra faccia della medaglia di ciò che arriva sulle tavole.
Ci si può rendere conto agevolmente quindi che grandi eventi come l’Expo di Milano 2015, che hanno come tema proprio quello di “nutrire il pianeta: energia per la vita”, sono funzionali solo a far girare l’economia grazie al turismo e al terzo settore, pubblicità, marketing e uso dello spettacolo. I dibattiti serviranno solo ad alimentare una macchina, quella finanziaria, costretta a trovare sempre nuovi strumenti per far circolare flussi di denaro, soprattutto quelli virtuali. Basta guardare agli sponsor di Expo, tra cui Enel, Coca Cola, McDonald per capire che “eco-sostenibilità, diritti, ecologia, lotta alla povertà, condivisione”, sono parte di un linguaggio grottesco all’interno di questi contesti, rappresentativi di un modello che tende a mercificare qualsiasi cosa.
Ultimo aspetto da tenere in considerazione, infine, è che la diffusione degli Ogm comporta un controllo totale delle popolazioni, poiché unici proprietari dei semi geneticamente modificati, realizzati per essere sterili ed essere quindi utilizzati una volta sola, sono proprio coloro che li hanno brevettati e cioè Monsanto e company, a cui i contadini del mondo dovranno rivolgersi sempre per poter coltivare ogni alimento, compromettendo irreversibilmente la biodiversità della terra. E se qualcuno controlla completamente ciò che mangiamo non ha bisogno di molti altri strumenti per tenerci in pugno. Aspetto che viene spesso taciuto quando si parla di organismi geneticamente modificati, presentati come la soluzione alla fame nel mondo grazie a piante rese più resistenti e più produttive, e invece ulteriore strumento di attacco alla vita naturale. Gli Ogm sono infatti un ulteriore passo verso un cibo e una vita artificiale e omologata, che elimina sempre più differenze e diversità.
Colonizzazione
Così come sta avvenendo in ambito energetico, c’è chi sembra aver individuato nel Salento un luogo da colonizzare. Non si contano più gli impianti di fotovoltaico, eolico, biomasse, quella cosiddetta energia alternativa e rinnovabile che avrebbe dovuto essere sostenibile, pulita, non impattante. Eppure un semplice giro nelle campagne ci fa rendere conto di quanto questi impianti siano nocivi, della distruzione e della devastazione che portano, anche al di là dei dati tecnici che avvalorano o meno la tesi del loro inquinamento. La fame di energia impone l’industrializzazione di ampi territori, la distruzione di ecosistemi, la sostituzione della natura con macchine, tecnologia e cemento. E il Salento e la Puglia sono alquanto emblematici da questo punto di vista se si pensa alla quantità di energia che viene prodotta con fonti e impianti diversi. Dalla centrale a carbone di Brindisi, passando per le numerose rinnovabili fino ad arrivare ai progetti di gasdotti che si vuole far passare da questi posti. Tap è il progetto ormai in fase autorizzativa conclusa i cui lavori dovrebbero iniziare nel 2016. A fare da corollario a questi impianti di morte c’è l’Ilva di Taranto, che da alcuni decenni produce acciaio, cancro e morte sociale. L’Ilva è l’esempio di un territorio colonizzato e dominato totalmente dal potere economico che al suo profitto ha letteralmente sacrificato la vita di tutto ciò che era attorno, persone incluse. Questi esempi servono ad avere uno sguardo più chiaro su quelle che chiamiamo nocività e che non sono tali solo perché inquinanti o devastanti dell’ambiente, ma, più profondamente, nel loro aspetto sociale, per l’idea stessa che le sorregge. Interi territori, la natura che in essi si trova e coloro che vi abitano divengono proprietà e mere variabili numeriche di coloro che hanno mire di profitto. Anche nel caso degli ulivi, tutto sembra sacrificabile all’altare di qualche multinazionale o di qualche intento speculativo.
Chi ci salva dai controllori
Se non è impossibile individuare i responsabili di fenomeni spacciati come emergenze, piccoli o grandi che siano, dal politico locale al funzionario statale, al ricercatore o Commissario europeo, che lavorano alacremente per soddisfare le esigenze dei grandi colossi economici e finanziari, più difficile sembra rendersi conto che questi soggetti non sono la parte malata di un sistema che altrimenti funzionerebbe bene. Essi sono il sistema. E a poco vale affidarsi alla magistratura e agli organi di controllo che su tutto questo dovrebbero vigilare. Questi ultimi sono solo l’anello che permette al sistema di non naufragare completamente, un equilibrio interno che consente di rattoppare qualche buco e non farlo diventare voragine. Se molti politici sono corrotti qualche magistrato riuscirà a perseguirne qualcuno, ma ciò servirà solo a tenere in vita un modello democratico altrimenti privo di credibilità. Un modello democratico totalitario che non riesce più a nascondere la favola della partecipazione di fronte al tentativo di avere un controllo assoluto sulla vita e la morte dei suoi sudditi e della natura (morta?) che li circonda.
Per questo a poco serve che quanto sta accadendo nel Salento con l’affare Xylella sia inserito nel rapporto annuale sulle agromafie, redatto dal Comitato scientifico dell’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura di cui presidente è Giancarlo Caselli, noto magistrato boia persecutore di sovversivi negli anni settanta e ottanta e, negli ultimi anni, persecutore accanito di comunisti, no-tav, anarchici che hanno tentato di ostacolare concretamente la realizzazione della grande opera devastante dell’alta velocità in Val Susa.
Affidarsi a Caselli e alla magistratura, anche quella democratica, è come scegliere di tenere il braccialetto elettronico piuttosto che le catene ai polsi, oltreché legittimare quanto invece va sovvertito completamente: istituzioni ed economia.
C’è chi invece vede nell’Unione Europea un governo terzo in grado di decidere e legiferare in maniera equa. Ma anche questo non può che significare affidarsi al proprio aguzzino se si tiene conto della legislazione, totalmente a favore degli Ogm, che l’Unione Europea ha avallato ormai da molti anni, sostenendo queste coltivazioni e introducendo nella vita comune la presenza degli organismi geneticamente modificati.
Autorganizzazione
In molti quando si trovano davanti a nocività di vario tipo si chiedono: «Cosa possiamo fare allora?».
Pensiamo che competenze e soluzioni non possono essere appannaggio di tecnici e ricercatori vari, che rendono esclusive le conoscenze rendendo agricoltori e individui dipendenti dalle loro informazioni. Resistere a pratiche come l’eradicazione e l’uso di pesticidi è ormai fondamentale e ciò si potrà realizzare solo mettendosi in mezzo in prima persona, impedendo fisicamente che il piano regionale-europeo e commissariale si realizzi. Infine, dare un calcio alla politica e alla sua propaganda, all’economia e al suo dominio, riprendendosi in mano i saperi, le pratiche e l’organizzazione della nostra esistenza ridotta a mero calcolo di profitto da chi, invece, ha condannato a morte l’esistenza stessa di questo pianeta.
Alcuni nemici delle nocività
Peggio2008@yahoo.it
[29/03/2015]