Per far funzionare la società odierna — muoverne gli ingranaggi, azionarne le presse, tenerne accesi gli schermi — serve una forza disumana. Una forza che va non solo reperita, ma diversificata ed accumulata all’infinito per permettere sempre ulteriori espansioni industriali. Chi detiene il potere, politico ed economico, deve quindi spremere ogni singola briciola di energia dal pianeta, intrappolata nei legami chimici della materia, da ognuna delle sue fonti: centrali nucleari che sfruttano la potenza degli atomi; impianti termici che bruciano tonnellate e tonnellate di gas e petrolio; miniere che bucano e divorano la terra alla ricerca di carbone; distese di pannelli fotovoltaici e pale eoliche che catturano raggi e brezze, dando l’illusione che l’attuale modo di vivere sia riformabile. Le cosiddette «crisi energetiche», che vengono menzionate di tanto in tanto, nascono dai limiti insiti in ciò che resta della natura di alimentare la forsennata corsa del progresso.
Tutta questa energia viene convogliata in enormi elettrodotti che la fanno giungere in minima parte nelle nostre case. Per alimentare i nostri televisori, i nostri rasoi elettrici, i nostri cellulari, i nostri spremiagrumi automatici… ovvero tutto ciò che questo mondo ci offre per indurci a credere all’impossibilità di poterne fare a meno — la suggestione che vivere significhi circondarsi di merci, soprattutto protesi tecnologiche.
Di fatto, l’energia serve quasi esclusivamente a perpetuare il mondo dell’autorità, della merce, dell’industria, a far funzionare cioè gli ingranaggi delle macchine della riproduzione sociale, della guerra, dello sfruttamento.
Davanti ad un progresso sinonimo di devastazione, non stupisce quindi che nel corso degli ultimi anni in tutto il mondo siano nate lotte contro le infrastrutture energetiche: contro il gas in Italia, contro il carbone in Germania, contro il nucleare e l’eolico in Francia, contro il petrolio negli Stati Uniti e in Canada, contro il nucleare in Finlandia… Lotte che hanno conosciuto sia mobilitazioni collettive sia sabotaggi individuali.
Ai cuori pulsanti che non battono per il profitto non dovrebbe essere difficile pensare che staccare la spina a ciò che alimenta la produzione dell’esistente e dei suoi rapporti sociali programmati e ripetitivi, potrebbe aprire (e aprirci) le porte di tutt’altro mondo. Se la scienza ha sostituito il sacro nell’imposizione della normalità stabilita — proclamandosi erede dell’infallibilità divina al fine di sradicare ogni pensiero critico nei suoi confronti, minacciando un’apocalisse nucleare al posto del giudizio universale —, ecco che causare interferenze e cortocircuiti potrebbe costituire una nuova forma di iconoclastia contro ciò che è ossessivamente scientifico, testato, razionalizzato, quindi oppressivo.
L’istinto non può, però, essere l’unica base delle nostre passioni. Ciò che è pensiero crea e reinventa lo sguardo continuamente. Cresciuti in branco in un mondo cancerogeno, il percorso per ricercare pensieri singolari è sempre da inventare ed esplorare. Perché fino a quando ci atterremo alla «realtà delle cose», e di conseguenza questo ordine sociale verrà percepito come qualcosa di naturale, rimarremo sempre impantanati nella ragione di Stato (o nella ragione di chi vuole farsi Stato).
Per uscire da questo pantano non basta profanare il culto definito necessità del progresso, ma anche quello alternativo in difesa della natura. Non è l’eccessivo inquinamento provocato da alcune fonti energetiche che andrebbe messo in discussione e a soqquadro, bensì un modo di (sopra)vivere che pretende un consumo enorme di energia, ovvero questo ordine sociale fondato sulla soggezione degli esseri umani alle necessità del Dominio.
È a partire da queste considerazioni che nasce l’urgenza di iniziare a riflettere su alcune questioni di fondo: a cosa serve veramente l’energia? Quali sono i motivi che ci spingono ad opporci al suo sfruttamento? Se il naufragio sociale necessita della continua depredazione del vivente, perché dovremmo tentennare timorosi all’idea di tagliare l’energia a questa civiltà?
Per affrontare pubblicamente tali discussioni abbiamo deciso di prendere appuntamento. Non con esperti e scienziati convinti che la fissione dell’atomo sia l’ovvia conseguenza della scoperta del fuoco, o con attivisti che confondono una lotta autonoma con una protesta civica, ma con individui che avvertono anche solo istintivamente che la Megamacchina va fermata, non riprogrammata, e che non saranno le petizioni a poterlo fare. E poiché non abbiamo lezioni da impartire a platee mute, sentiamo l’esigenza di attizzare preventivamente le scintille del pensiero e della fantasia. Abbiamo qui raccolto alcuni scritti che abbordano una questione che riguarda tutti (questo tutti non ha niente di retorico e di militante: l’energia è dominio perché fa funzionare materialmente questo marciume chiamato mondo) con l’auspicio che la loro lettura possa offrire spunti di riflessione (precisazioni, aggiunte, critiche, approfondimenti) in vista dell’incontro.
[per leggere o per stampare l’opuscolo]