Blanqui a Venaus
«La politica è l’arte del recupero. Il modo più efficace per scoraggiare ogni ribellione, ogni desiderio di cambiamento reale, è presentare un uomo di Stato come sovversivo, oppure – meglio ancora – trasformare un sovversivo in un uomo di Stato. Non tutti gli uomini di Stato sono pagati dal governo. Ci sono funzionari che non si trovano in parlamento e nemmeno nelle stanze adiacenti; anzi, frequentano i centri sociali e conoscono discretamente le principali tesi rivoluzionarie. Discettano sulle potenzialità liberatorie della tecnologia, teorizzano di sfere pubbliche non statali e di oltrepassamento del soggetto. La realtà – lo sanno bene – è sempre più complessa di qualsiasi azione»
Dieci pugnalate alla politica, 1996
C’è una voce che circola da qualche tempo fra alcuni anarchici in Europa relativa all’ultima fatica editoriale del Comitato Invisibile, autore nel 2008 del best-seller internazionale L’insurrezione che viene. Si vocifera che gli aderenti al Comitato abbiano condiviso la bozza del testo con i loro amici politici sparsi qua e là per il mondo, per saggiarne le reazioni e ricavarne utili consigli. Orbene, nella prima stesura c’era un duro attacco contro gli anarchici, rei di non essersi prostrati adeguatamente al loro cospetto (e di aver sghignazzato davanti alla farsa di Tarnac, dove i presunti autori del libro, al bussar della polizia si erano precipitati nelle braccia protettrici di quella sinistra a cui fino alla vigilia dichiaravano guerra). Ma alcuni dei loro amici corrispondenti – dal nostro Belpaese, si sussurra – avrebbero suggerito loro di eliminare le parti troppo virulente, di ammorbidire i toni, perché in fondo, a ben pensarci, sono ancora tanti i servigi che i babbei libertari possono offrire. Un suggerimento che alla fine sarebbe stato accolto. La provenienza di questa voce è di un anarchico birichino che pare abbia avuto modo di leggere la bozza originale del testo, nonché la relativa corrispondenza. Sono i rischi della Comune e della condivisione degli strumenti, non si sa mai chi può buttare l’occhio in un computer lasciato acceso e incustodito!
Vera o falsa che sia questa voce, alcuni giorni fa ci è stato fatto omaggio del nuovo libro del Comitato Invisibile, fresco fresco di stampa, pubblicato in Francia alla fine dello scorso mese. Si intitola A nos amis (politiques, ça va sans dire) e ne è prevista l’imminente pubblicazione in contemporanea in altre sette lingue, per favorirne la diffusione nei quattro continenti. Fiduciosi che l’Italia sarà tra i paesi fortunati, tanto vale aspettare di leggerne la traduzione integrale.
Ma allora, qualcuno si chiederà, perché ne parliamo qui ed ora? Perché, grazie alle lezioni del Comitato Invisibile, abbiamo finalmente capito fino a che punto la pubblicità non sia solo l’anima del commercio, ma anche quella della sovversione (del commercio della sovversione, insomma). Inoltre, davvero, se non ci affrettassimo alla condivisione di almeno qualche stralcio di questo nuovo capolavoro con i nostri lettori, rischieremmo di venir scambiati per burocrati di Stato. Un’anteprima, insomma, una specie di scoop.
Cosa scegliere è facile, fin troppo facile. I nipotini di Blanqui dedicano infatti alcune riflessioni all’Italia, e per la precisione alla lotta contro il Tav in Val Susa ed ai suoi miracolosi effetti. Ecco cosa scrivono: «Bisogna annoverare fra i miracoli della lotta in Val Susa il fatto che sia riuscita a strappare un buon numero di radicali all’identità che si erano così faticosamente costruiti. Essa li ha fatti ritornare sulla terra. Riprendendo contatto con una situazione reale, hanno saputo lasciarsi alle spalle buona parte del loro scafandro ideologico, non senza attirarsi l’inesauribile risentimento di coloro che restano confinati in questa radicalità intersiderale dove si respira così male… Alternando le manifestazioni in famiglia e gli attacchi al cantiere del Tav, facendo ricorso ora al sabotaggio ed ora ai sindaci della vallata, associando anarchici e pure cattolici, ecco una lotta che ha almeno questo di rivoluzionario, l’aver saputo fino ad ora disattivare la coppia infernale del pacifismo e del radicalismo».
Proprio così! Da bravi animali politici, i nipotini di Blanqui pensano che l’ambito più naturale e spontaneo dove vivere sia lo zoo. Chi non vi entra o se ne allontana si autocondanna all’isolamento, ovvero a respirare male l’aria stantia di uno scafandro, denotando un inesauribile risentimento nei confronti di chi respira così bene la stessa aria di magistrati e parlamentari (e magari pure di delatori e dissociati di diversa natura). È quasi commovente l’ammirazione del Comitato Invisibile per i loro garzoni libertari italioti, questi Victor Serge de noantri, i quali hanno finalmente compreso l’utilità strategica della conflittualità alternata da sempre cara agli autoritari. Peccato che, ad inquinare questa ambita aria, ci sia anche «una frazione di anarchici che si autoproclama nichilista» e che in realtà «non è che impotente». Anarchici che identificano il nemico, si procurano dei mezzi e lo attaccano… brrr, che schifo, non sono che impotenti, è ovvio. Invece, chi fa comunella con sindaci, preti e stalinisti, chi si fa eleggere consigliere comunale come gli sfegatati fan di Tarnac del Comitato Invisibile, quelli sì che…
Che? Ma sì, che hanno capito come stanno le cose! «Non esiste esperanto della rivolta. Non spetta ai ribelli imparare a parlare anarchico, ma agli anarchici diventare poliglotti». L’esperanto, questa lingua nuova che comprende elementi di tutte le lingue, le racchiude senza preferenze cercando di farle comunicare nel rispetto della loro diversità, è una stolta utopia. Il modo più pratico, immediato, strategico di comunicare, è parlare la lingua degli altri. L’inglese soprattutto, in affari. L’autoritario soltanto, in politica.
Anarchici, siate poliglotti! Smettete di miagolare soli soletti come quattro gatti, abbaiate e grugnite in compagnia di cani e porci! Il lunedì parlate umanitario, il martedì democratico, il mercoledì giornalista, il giovedì sindacalista, il venerdì leguleio, il sabato comunista, la domenica – amen – pretesco. E occasionalmente, parlate pure rivoltoso. Quanto alla lingua anarchica, meglio dimenticarla del tutto.
Tanto, siamo sinceri, a cosa vi serve?
[22/11/14]