Si riparte, attività novembrine.

L’autunno è oramai inoltrato, nonostante le temperature -in giornate come quella di oggi nella quale scrivo- a tratti sembrino quasi primaverili; dopo un’estate passata fra infortuni ed acciacchi finalmente riprendono le mie attività boschive e cosa c’è di meglio che lavorare nel silenzio del bosco, rotto solo dal canto degli uccelli, dal crepitio delle foglie secche sotto gli scarponi e dallo stridio degli alberi cullati dal vento?

Fare legna, un’attività atavica che in montagna ha ancora la sua dignità.

Prandi “tedesca” con testa da chilo e Prandi “Segurin” la mia accettina da zaino, della quale parlerò.

Amo i gesti antichi e, dove possibile, preferisco abbattere manualmente le piante; ritengo il taglio tradizionale una forma di rispetto verso l’albero, al quale sento di dovere almeno la fatica che faccio nell’abbatterlo, ma anche verso il bosco ed i suoi abitanti, limitando al minimo l’impatto sonoro. Non disdegno l’uso della motosega, intendiamoci, l’ho usata e la userò, ma soltanto là dove non fossi in grado, per vari motivi, di procedere con il taglio manuale.

Il suono della scure che morde il legno, la scure che vibra e trasmette l’urto al corpo, i muscoli che si tendono ed il respiro che accelera, fermarsi ad ascoltare il circostante riprendendo contestualmente fiato, tutto ciò smuove qualcosa nel profondo, una sorta di ricordo condiviso con chi mi ha preceduto.

Dopo il taglio, la sramatura e la porzionatura del tronco è il momento del riposo, solitamente rimando al giorno successivo lo spostamento del tagliato in legnaia, dove provvedo anche ad aprire le porzioni maggiori di tronco con i cunei.

Questo breve articolo vuole essere una sorta di incipit per i prossimi nei quali parlerò delle procedure che metto in atto durante gli abbattimenti, degli strumenti che utilizzo e quant’altro mi verrà in mente sull’argomento. Alla prossima.

Buoni boschi. M.

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