Racconti d’uscite: Giornate boschive, ancora in Val Clarea…

Circa un paio di settimane fa ricevetti una telefonata da un amico con il quale condivido scalate e peregrinazioni silvestri, la proposta di passare qualche giorno per boschi in una zona che conosciamo piuttosto bene, ma che ogni volta ci regala nuovi angoli di imprevisto e sconosciuto, cadde a fagiolo, avevo bisogno di passare del tempo nei boschi perché mi aiutano a pensare ed a trovare energie altrimenti difficili da risvegliare ed in questo momento ho bisogno di tutta la benzina possibile.
Il programma vedeva un gruppo muoversi il Venerdì pomeriggio, mentre io -causa un impegno- mi sarei mosso in autonomia il sabato mattina per raggiungerli in un’area che ben conoscevamo ma nella quale nessuno di noi aveva ancora bivaccato.
Quando suona la sveglia sono già desto da un po, mi alzo quindi senza difficoltà e mi dirigo alla volta della caffettiera, la preparo e la pongo sul fuoco, nel frattempo comincio a riempire lo zaino.
Non c’è fretta.

Sbrigate le pratiche rifocillatorie e chiuso lo zaino mi faccio accompagnare al paese vicino dal quale parte il sentiero che scende verso la val Clarea, il cielo terso ed il sole già alto in cielo lasciano presagire una camminata all’insegna del caldo nonostante buona parte del percorso si dipani in uno splendido bosco di castagni, frassini, tigli, querce.
Amo camminare da solo, la cadenza dei passi, la sincronia con il respiro, le luci e le ombre del bosco -se sono nello stato d’animo giusto- trasportano la mia coscienza in uno stato di concentrazione irraggiungibile in condizioni normali; questo non sempre è un bene perché se nei periodi di tranquillità il risolversi in un grado di pensiero profondo -fuori dal comune- può creare una sorta di voluttà edonistica, tutto cambia quando pensieri cupi già si annidano nei meandri della testa ed allora ecco che le ombre di un pertugio fra le rocce possono diventare un abisso nel quale scoprirsi fragili e per me questo non è proprio una primavera di fioriture, ma tant’è.
 
Attacco la via che prende passo fra due case, in pochi istanti mi ritrovo su un sentierino erboso che poco dopo si immerge fra le torsioni placide di castagni secolari; la strada è agevole come ricordavo anche se in qualche punto piccole frane hanno reso il sentiero molto stretto, non proprio il massimo per il mio piede che pur stando meglio necessita ancora di spazio per poter performare un minimo, oltretutto camminerò praticamente sempre in discesa, condizione tutt’altro che ottimale vista la condizione della caviglia. Basterà prendersela con comodo.
 
La prima parte del sentiero è una sorta di trasferimento boschivo fino all’ultima borgata del paese dal quale parte il percorso vero e proprio.
 
Tutte le volte che scendo lungo queste erte non posso far a meno di pensare a tutta la storia passata fra queste rocce, in primis a quella più recente legata alla lotta contro l’alta velocità il cui cantiere ha devastato e sta devastando una parte considerevole di una piccola valle che prende il nome dal fiume che la solca, il Clarea appunto, e che negli anni ha già dovuto affrontare lo scempio dei piloni autostradali.
 

Al 2013, anno in cui sono tornato in questa zona di Piemonte, erano stati tagliati -per far spazio al cantiere del tunnel esplorativo dell’alta velocità- più di 5000 alberi alcuni dei quali castagni secolari di dimensioni notevoli, i pesci nel fiume erano morti e stessa sorte è capitata a numerosi caprioli e cervi che con le mucose ustionate dal contatto con i residui di gas CS sparato in abbondanza dalle forze dell’ordine a contrasto delle rimostranze dei valligiani e che non riuscivano più a cibarsi e bere; ma la storia di questi sentieri e di questa insignificante valletta è ben più antica, di qui

Un tratto della Francigena

passa infatti il tracciato della via francigena che da più di un migliaio di anni vede passare pellegrini di tutto il mondo e che dal 2012 non possono più percorrere il percorso originale poiché questo dovrebbe attraversare il citato cantiere.

Ma la storia di questi boschi retrodata ancora di qualche migliaio di annetti, nell’area della Maddalena -infatti- a monte del fiume sono stati rinvenuti i resti di un villaggio e di sepolture risalenti a circa 6000 anni fa ed in questi boschi la memoria degli antichi abitanti si respira ancor oggi, nonostante tutti gli scempi succedutisi negli anni, non ultimo l’utilizzo dell’area sepolcrale come…parcheggio per i mezzi delle ff.oo…
 
Questi ed altri pensieri attraversano la testa mentre scendo con buon passo verso il fiume e ad un tratto sono riportato al qui ed ora dalla caduta di un grosso pietrone smosso dalla fuga di due camosci che, infastiditi dalla mia imprevista presenza continuano a fischiarmi dietro per un po.
Il caldo è intenso e sudo copiosamente, oltretutto non sono più abituato a trasportare grossi pesi. Poco male, surplus di fisioterapia.
 

rocce neolitiche e muretti più moderni, qui la storia ha radici profonde

Giungo ad un complesso roccioso che, così mi hanno raccontato, pare abbia accolto una parte del villaggio neolitico e ancora la mente vaga fra guglie e rocce fino a ricordare come in quei lontani tempi l’alpe non fosse confine o ostacolo ma un territorio liquido dove corpi ed idee si muovevano liberamente, sono tra l’altro stati trovati indizi di scambi commerciali transalpini poiché proprio alla Maddalena sono stati rinvenuti utensili in selce, pietra non presente in queste zone, e manufatti di pietra verde (serpentinite) della Val di Susa sono state trovate nella zona del Brianchonese: questa valle è sempre stata luogo di passaggio e contaminazione.

 
Il bosco di qui infittisce e la vegetazione cambia, si cominciano ad intravedere piante ed alberi consociati ad una certa umidità come salici, aglio orsino, bardana, anche il sentiero si distende, si allarga e diventa più agevole e riesco quindi a camminare più spedito, anche se devo dire che il piede tutto sommato si sta comportando bene.
 
Si comincia a sentire il rumore inconfondibile del fiume che corre fra le rocce e la voglia di un tuffo si fa via via più impellente, ora querce e castagni creano un’alta e splendida volta sul sentiero, mi ritrovo in una sorta di navata centrale di un’imponente cattedrale gotica verde le cui liturgie sono cantate senza sosta da miriadi di uccelli; arrivo nei pressi dei mulini diroccati prossimi al ponte sul fiume e qui per anni il sentiero è stato “sbarrato” da un castagno monumentale caduto sul percorso ma con un certo dispiacere noto che l’avito guardiano di questo tratto di strada è stato tagliato per rendere più agevole il passaggio ed ora le sue porzioni sono ordinatamente poste ai margini del sentiero.

Il Clarea

 
Attraversato il fiume, dall’acqua come sempre cristallina, dovrò risalire il corso del torrente fino ad una serie di prati costeggianti un sentiero abbandonato, li dovrei trovare gli altri ed infatti dopo pochi minuti di cammino l’odore inconfondibile di un fuoco mi preannuncia ciò che sto per incontrare, il nostro campo.
 
Non nego il piacere di arrivare e trovare il focolare già allestito e la legna processata perché questo vuol dire che subito dopo aver posato lo zaino, salutato gli amici ed allestita l’area amaca avrei potuto tuffarmi nelle agognate acque.
Il fiume è come sempre impetuoso, cascatelle creano polle di naturali idromassaggio e piccole sacche ottime come refrigeratori che infatti contengono già numerose ed immancabili birre.
 
Finalmente sono davanti al corso del Clarea, mi spoglio con calma avendo cura di sistemare scarponi e vestiti in un’area il più possibile scevra da foglie ed erba, qui le zecche sono sempre in agguato, ormai non ho fretta e la preparazione diviene quasi un rituale; con attenzione comincio ad immergere prima i piedi procedendo con cautela verso la pozza più profonda, l’acqua e molto fredda e giunta ai polpacci la testa comincia a girare, evidentemente la circolazione si è concentrata tutta nelle gambe. Una sorta di lieve ebbrezza mi assale, ora l’acqua arriva all’inguine, è l’ora di immergersi o il freddo vincerà sulla volontà.
 
Mi immergo con decisione fino al collo e per alcuni attimi la respirazione si spezza, mi rimetto immediatamente in piedi per poi re-immergermi quasi istantaneamente, c’è voluto poco ad acclimatarsi.
Mi pongo spalle a monte e mi lascio cullare della corrente che mi scorre addosso, faccio parte del fiume, ora.
 
Il fresco e il rilassamento stimolano l’appetito esco quindi dal fiume e mi vesto, l’acqua fresca è stata corroborante ma ora devo sgranocchiare qualcosa, la losa sarà certamente calda e l’odore che arriva a sprazzi con il vento mi fa capire che qualcosa sta grigliando ed infatti arrivato al focolare zucchine, melanzane e cipolle stanno sfrigolando decisamente, metto su anche un po di pane ed in pochi secondi mi ingozzo con un panino alla cipolla innaffiando il tutto con una buona Guinness che sarà praticamente la mia unica idratazione della giornata in corso e di quella successiva.
 
Qualcuno sta segando legna, io mi limito a splittare qualche pezzo per tenere bella calda la fiamma, la losa continua a grigliare qualsiasi cosa gli capiti sopra.
Dopo pranzo l’immancabile caffè ci accompagna nuovamente al fiume per un bagnetto post prandiale che anticipa giusto di qualche minuto il secondo giro di cibo e la meritata pennichella: si sa quanto dei bagordi ben impostati possano essere stancanti…
 

Cucchiaio e forchettone, al quale ho temprato le punte per renderle più resistenti

Appena destato dal dormi/veglia mi metto a chiacchierare con un amico che non vedevo da un po anche se per la precisione il mio ruolo è quello di auditore paziente, avevo quasi dimenticato la proverbiale logorrea di “E”…recupero quindi nella catasta di legna un pezzo di castagno bello secco e ne approfitto per intagliare un cucchiaio ed un forchettone, “E” continua il suo fitto monologo che assomiglia decisamente ad una grandinata estiva: fitta, intensa e senza respiro.

Terminati gli intagli ed iniziata l’ennesima Guinness un prurito sotto la coscia sinistra annuncia la presenza della prima zecca (in tutto alla fine dei due giorni saranno 4) che naturalmente ha scelto me come casa vacanza, peccato che non sia ospite gradito, la rimuovo e torno alla mia scura; ieri pomeriggio, mi dicono, c’è stato il passaggio di un bel cinghiale proprio a margine del campo, mi muovo quindi ad esplorare i dintorni dell’area sperando in qualche incontro faunistico ma quasi subito, fra le piante di aglio orsino ormai sfiorite ed i ciuffi giallo sole dell’Iperico la mia attenzione è attirata da un cespuglietto di quelle che a prima vista sembrerebbero piccole margherite dalla strana foglia che riconosco immediatamente essere Partenio (pubblicherò la scheda a breve),

Partenio

un’asteracea che in infuso può aiutare contro mal di testa e dolori varii, bene sapere che all’occorrenza c’è.

Dopo anni di boschi la mia idea di permanenza in ambiente ha cambiato pelle più e più volte, se all’inizio attraversavo velocemente boschi e sentieri, quasi con piglio sportivo, con il passare del tempo ogni passo si è fatto sempre più misurato, ogni metro percorso entra in dialogo con la mia essenza, i sensi si sono acuiti e lo sguardo scrutatore setaccia ogni chiazza d’erba alla ricerca di qualcosa di utile o di imprevisto, il passo si è fatto lento, i piedi misurano il terreno, gli occhi registrano il paesaggio, l’ippocampo freme.
 
Si sta alzando un po di brezza, il sole si è abbassato, il giorno si sta preparando un comodo bivacco dietro le montagne, le prime zanzare arrivano a stormi come degli Stukas pronti a colpire senza pietà, fortunatamente il fumo del fuoco le scoraggia un minimo, durerà?
La losa non ha praticamente mai smesso di grigliare ed è difficile quindi decretare l’ora di cena che potrebbe essere intesa anche come un fiordo di pranzo che si inoltra nella sera. Mangiamo e beviamo, ho sonno ma non mi sento ancora pronto per l’amaca, una buona tisana d’iperico però da una mano e sancisce l’ora di ritirarsi, saluto gli ultimi nottambuli e mi avvio verso il bivacco; devo srotolare il sacco-letto, accendo dunque la frontale per sistemare l’area notte ma subito vengo investito da una nuvola compatta di insetti attirati dalla luce, quasi non riesco a tenere gli occhi aperti e la bocca deve stare ben chiusa per evitare di ingoiare falene e chissà cos’altro. Finalmente sono nell’amaca, che bello averne una con zanzariera!

per fortuna avevo con me l’amaca con zanzariera…

 
Mi corico rimpiangendo di non essermi portato da leggere, avrei bisogno proprio di qualcosa che mi accompagnasse fra le braccia di Morfeo ma pazienza, poco a poco gli occhi si fanno pesanti e la mente corre in ampi spazi, il rumore del fiume concilia il sonno nonostante si stia alzando un discreto vento e qualche gocciolina batta ritmicamente sul tarp tirato sopra l’amaca.
Il vento sta rinforzando, ora piove con più insistenza, alcuni amici che stavano dormendo vicino al fuoco si animano, li sento trafficare, credo stiano tirando un telo d’emergenza. La pioggia ed il vento durano un’oretta e poi, così come erano arrivati scompaiono, finalmente mi addormento. La notte passa comoda e serena.
Dormo molto per essere nel bosco, fin oltre le nove, mi alzo quasi contestualmente con “A” che ha la tenda piazzata proprio davanti a me e piano piano ci animiamo tutti, verso l’ora di cena della giornata precedente erano arrivati altri due amici e ora siamo un gruppetto discreto, il caffè brontola dalla macchinetta ed il suo aroma si mischia a quello del fuoco appena ri-attizzato e a quello del bosco mattutino; consumata la colazione e sgranchita la caviglia procedo alla manutenzione delle lame, affilo i coltelli da intaglio, il Mora e l’ascia e proprio quest’ultima diventa il passatempo mio e di “A”, individuiamo un Tiglio morto ma ancora in piedi che diventa il nostro bersaglio e passiamo una mezz’ora buona al tiro a segno.
Il caldo si è fatto più intenso, sono circa le 11 ed è giunto il momento di fare un bel tuffo, l’acqua fresca è un toccasana, la caviglia infortunata ne giova non poco, dopo ogni bagno gira decisamente meglio.
Mentre mi preparo pranzo grigliando le cipolle da aggiungere ai fagioli mi rendo conto che in due giorni ho incontrato solo un paio di camosci lungo il sentiero e non ho sentito, soprattutto la sera, nessun segno di presenze e ciò è molto strano visto che questo bosco e molto frequentato e sovente si incontrano caprioli, cervi e cinghiali, oltre che tassi e volpi, probabilmente siamo troppi e troppo rumorosi o forse l’anima di queste selve è cambiata, danneggiata irreparabilmente dai cantieri dell’alta velocità e dallo sfregio fatto ad alcune zone di passaggio faunistico ed umano dalla follia degli alpini di stanza al cantiere che hanno cosparso le zone antistanti l’area di loro competenza di filo spinato come se si trovassero in teatro di guerra, mi è stato raccontato da molti che è capitato spesso di trovare animali feriti da queste recinzioni.
Pare proprio che questa area sia diventata una sorta di zona d’addestramento informale, con buona pace di chi la vive da secoli.
Il pranzo si allunga fra chiacchiere e birrette ma il mio piede mi ricorda quanto non sia scontato il fatto che riesca a riportarmi sino alla Ramats, la salita è ripida e anche se non lunga potrebbe darmi noie, decido quindi -vista la flemma con la quale gli altri affrontano lo smontaggio del campo- di avviarmi verso casa, rimango debitore dei lavori di ripristino dell’area, la prossima volta toccherà a me.
Come preventivato la risalita non è indolore, la caviglia si muove benino ma duole e due dita del piede formicolano a causa forse della scarsa vascolarizzazione che ancora affligge l’articolazione sinistra, procedo con regolarità ed a piccoli passi, il caldo intenso e a tratti afoso non aiuta, sudo copiosamente e sento la caviglia gonfiare, lo scarpone si è fatto leggermente stretto ma non posso allentarlo, ho bisogno di stabilità.
Mi fermo per qualche sorso d’acqua, la prima da quasi due giorni passati a filtrare Guinness, certo la “dieta” non sarà stata la più sana ma diavolo, è stato piacevole.
Sono a casa per cena, stanco e dolorante ma contento, lentamente si torna alla normalità, la strada della riabilitazione è ancora lunga ma la salita sta addolcendo, ed io l’affronto come sempre, di petto.
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