Racconti d’escursione: Il rumore bianco

Febbraio 2019.

Nevica da giorni ormai, uno strano lucore ammanta ogni cosa, i movimenti delle persone si sono fatti più goffi, così come sono -infagottati nei piumini e nei giacconi- sembrano tanti tassi satolli pronti a tornare alla propria tana.

Dopo un inverno 2017 che inverno non è stato il 2018 ha regalato freddo e neve in abbondanza, il bosco dorme sotto uno spesso piumone bianco che lo culla e lo rigenera in previsione della novella primavera e ogni angolo di montagna o collina pare addobbato appositamente per regalare squarci di stupore e avventure inattese, “sarebbe bello -penso- attraversare quella sella laggiù, è una parte di valle che non conosco, se solo potessi…” ma sono passati solo 6 giorni dall’ultimo intervento alla caviglia, per me quell’inverno avrà l’odore delle corsie di un ospedale, del sudore freddo durante la fisioterapia, della camera di casa e del mio micio.

Per certi versi questo inverno ad un anno dalla caduta assomiglia a quello del 2017, poca pioggia, poca neve e temperature miti, presagio pessimo per una primavera che si preannuncia problematica negli orti a causa degli insetti che l’inverno non avrà selezionato e avara d’acqua per la poca neve in quota, ma fine gennaio un po per regalo, un po per scherno ci ha concesso finalmente e tardivamente una nevicata degna di questo nome con una sessantina di cm di neve a terra ed un colpo d’occhio notevole sui monti circostanti.

Subito la mente ripercorre a ritroso quei mesi vissuti nei panni di un altro, fuori dai boschi e giù dalle pareti, che ha causa della mia condizione ho fino a poco tempo fa potuto guardare solo da lontano, come si trattasse delle illustrazioni di un libro che narrasse di luoghi favolosi ed inaccessibili.

E’ il secondo giorno di febbraio, ancora a distanza di poco più d’un anno dall’incidente non cammino affatto bene ma i dolori attenuati ed una soglia degli stessi che ha alzato decisamente la sua asticella mi permettono ora di muovermi abbastanza agilmente nei boschi e di arrancare penosamente in parete, siamo lontani da una condizione fisica almeno considerabile nei limiti della decenza ma quella mentale è come sempre alta, la volontà non manca e nemmeno la determinazione: il dolore, assieme alla fatica servono solo a ricordare con più intensità che sono vivo.

Neve, neve…quanto mi è mancato l’anno scorso potermi muovere nel silenzio irreale del deserto che diventano i boschi imbiancati, con le proprie dune e le proprie sabbie mobili, i propri miraggi e le proprie suggestioni.

Sorge un problema di meccanica, la limitata articolarità della caviglia sarà compatibile con i movimenti vincolati del procedere con le ciaspole? E anche se lo fosse in salita riuscirò poi a destreggiarmi in discesa? Non sono mai stato capace nelle discipline tecniche e quindi l’unico modo per rispondere a determinati quesiti potrebbe essere soltanto quello di uscire e provare ma prima devo sbrigare alcuni impegni in casa, non sta nevicando e devo scendere fino al più vicino market a recuperare il cibo per i gatti, poi preparare pranzo, magari finire di impaginare una locandina, il tempo per uscire non c’è ma l’idea oramai si è tenacemente attaccata al cervello come un gasteropode.

Torno a casa che comincia a “fìocare” -termine che da queste parti significa nevicare- sbrigo gli impegni e verso le 16 sono libero, bene…sistemo la pala pieghevole nello zaino, controllo che le ciaspole siano a posto ed esco sotto una fitta nevicata, ho in mente un breve percorso adatto alle poche ore di luce rimaste, in tasca la macchinetta fotografica.

La silvopastorale è come la immaginavo, un intonso tappeto bianco brillante, nemmeno un’impronta d’uccello ad incresparne la superficie, un mare calmo pronto ad essere solcato per la prima volta.

             La silvopastorale è una colata bianca

Conosco questo sentiero pietra per pietra ormai, ma con la neve è diverso, i confini della carreggiata si fanno più tenui ed incerti, in certi punti l’accumulo ha livellato lo stradello all’altezza dei prati che la costeggiano, quello che fino a qualche giorno fa era un binario terroso incassato fra i prati più alti a monte e quelli più bassi a valle è ora una distesa quasi uniforme di zucchero a velo, basta un alito di brezza perché la neve farinosa si levi in turbine a disegnare volute degne del più ispirato Alphonse Mucha.

Procedo deciso, il piede si comporta davvero bene, peccato solo per l’imbarazzante forma fisica che mi costringe a fermarmi più spesso di quello che dovrei ma inganno l’imbarazzo con la scusa di scattare qualche fotografia.

Mi sono vestito troppo, sento già caldo, fra qualche altro metro comincerò a sudare e apro quindi i due bottoni del collo della giacca, so che non basterà ma non posso fare di più.

Il sentiero è scomparso, dissolto in un rumore bianco che in alcuni momenti confonde cielo ed orizzonte, mi fermo ad osservare e ad ascoltare, il crepitare dei fiocchi di neve sul cappuccio nel silenzio assoluto del bosco è ipnotico, con la coda dell’occhio riesco solo a registrare una macchia nera che si sposta con movimento rapido e deciso, senza rumore, penso ad un uccello che stesse zampettando sulla neve in cerca di cibo ma sembrava invero troppo grande per essere una ghiandaia o una gazza.

           Bonne soirée Madame.

Procedo solo dopo aver reso il giusto omaggio alla dama bianca che mi accoglie dopo una curva: un piccolo abete coperto di farina e verglass tanto da farlo sembrare una dama in candido abito vittoriano che mi indica il primo segno sul foglio bianco che sto attraversando, pare uno di quegli scarabocchi che capita di tracciare senza pensare mentre si è al telefono, improvvisamente poi il segno si regolarizza facendosi linea sinuosa che -zigzagando fra castagni e frassini- si perde nel fitto del bosco per poi riapparirmi innanzi.

Osservo le prime tracce senza capire bene di che si tratti, le impronte non sono riconoscibili almeno finché non scorgo un tratto di pista fitta di quelle che sembrano impronte di capriolo ma sono indeciso, le orme sembrano proprio quelle ma sono solitarie e chi le ha tracciate si è mosso con fatica nella neve tracciando un solco regolare simile alla pista per le biglie che facevamo da bambini in spiaggia, trascinando un amico seduto sulle natiche per le caviglie, che sia un cucciolo solitario? Non sono sicuro.

Decido di seguire la traccia, ho l’abitudine di seguire i segni del primo animale che trovo impresse sulla neve, la prima volta l’animale guida fu una lepre che ci fece da invisibile Virgilio -ero con un amico- attraverso una bellissima faggeta per una giornata intera senza mai incontrarla nonostante le impronte ci suggerissero che ci stesse precedendo solo di qualche centinaio di metri, è poi stato il turno di un lupo, vecchie impronte congelate che andranno poi a perdersi in uno scalpiccio convulso di cervi, poi di una volpe seguita a distanza durante una nevicata notturna, oggi chissà, non sono sicuro.

Seguire questa pista ha una doppia valenza, quella di ripetere una mia consuetudine e quella di alleviare la fatica, veramente tanta, che sto facendo procedendo nella bianca coltre, ci sono ora circa 65 cm di neve, le ciaspole limitano lo sprofondamento a circa 25 cm ma insomma, di materiale da sollevare ad ogni passo ce n’è e trovare una pista involontariamente già battuta è una manna. Comincia ad imbrunire e devo rientrare…sempre seguendo le tracce…che per qualche strano caso stanno proprio procedendo parallele ad un sentiero secondario che porta giù verso il paese. Anche la discesa non va poi male, l’alza tacco mi aiuta e affondo con voluttà nella neve fresca, è forse la prima volta che sento di muovermi normalmente e senza le limitazioni dell’infortunio, solo raramente qualche movimento mi ricorda che c’è ancora da lavorare di fisioterapia.

                Spettro guida

Fermatomi a fotografare le volute di uno sbuffo di neve in alto verso le fronde degli alberi sento un vago rumore provenire da qualche posto davanti a me, mi guardo attorno, sono già alcuni minuti che ho l’impressione di non essere solo ed infatti un’ottantina di metri innanzi alla mia posizione noto uno sbaffo scuro nel bianco uniforme, metto a fuoco, sono una piccola testa con due belle orecchie grandi, il crepuscolo non mi permette di capire colore e dimensione e quest’ultima operazione è resa ancor più complicata dall’assenza di punti di riferimento dimensionali imprigionati come sono sotto la coltre bianca. Scatto una prima foto che trasforma la piccola figura in una sorta di spettro dei boschi, una sagoma nera nello scuro del crepuscolo con due occhi di fuoco, scatto una seconda foto che grazie al programma della macchinetta risulta essere più chiara, seppur sgranata. Pare si tratti di un piccolo di…capriolo! Ecco quindi l’incontro con l’animale guida! Ma che ci fa da solo? Che si sia perso? Alcuni ripensamenti di direzione nella pista seguita fin ora potrebbero lasciarlo presagire. Procedo verso di lui con la macchinetta in mano poi vedo che si sposta verso monte e decido quindi di filmarlo brevemente per avere un’immagine più concreta dell’incontro, pochi secondi prima che sparisca inghiottito nuovamente dal bosco imbiancato. Me ne torno soddisfatto verso casa sempre più convinto che ogni sentiero che si attraversa ci attraversi a sua volta, ogni volta, cambiandoci un po così come noi lo cambiamo calpestandolo, smuovendo rocce e foglie. Non importa prendere un aereo per scoprire nuovi e fantastici posti, sono proprio qui dietro di noi, basta saper guardare.

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