Laura Blanchard, Emilie Sievert
Innanzitutto, per impedire ogni ambiguità, siamo solidali con le lotte con occupazione condotte contro i vari progetti industriali e capitalisti che, più che pianificare il territorio, contribuiscono a pianificare la nostra vita. Non solo siamo solidali, ma vi contribuiamo attivamente pur non definendoci zadisti. Ma non ci ritroviamo sempre con quanto viene portato avanti. È abbastanza logico, considerata la diversità delle persone che lottano. Per il momento tralasciamo la questione della composizione e della maniera di accordarsi, sulla quale magari torneremo in seguito. Abbiamo deciso di scrivere questa prima lettera il cui scopo non è di impartire lezioni che saremmo ben poco legittimati a tenere, ma di trasmettere le nostre osservazioni, i nostri dubbi e le nostre inquietudini.
Di recente ci siamo ovviamente arrabbiati quando abbiamo appreso che contro gli zadisti sono stati organizzati dei «pro-sbarramenti» a Sivens, o dei «pro-Center parcs» a Roybon: bloccando le strade per impedire l’arrivo di nuove persone in lotta e ridurre il rifornimento logistico, danneggiando i veicoli degli zadisti o le capanne dei campeggi, con minacce, insulti, aggressioni, ecc. Solidali con le persone del posto, le reazioni e i discorsi di certi zadisti ci hanno talvolta lasciato perplessi. A Sivens alcuni si indignano che gli sbirri non si mettano in mezzo e non proteggano almeno i veicoli amici e le persone. A Roybon, altri si indignano che i gendarmi non trovino il tempo per indagare sul posto dopo il lancio di molotov, dato che il fatto stesso che possano entrarvi non dovrebbe essere un’ovvietà. Anche in quel caso, si supponeva con indignazione che gli sbirri avessero lasciato fare senza intervenire… Lo Stato si ritrova d’un tratto rilegittimato, chiamato a interporsi coi caschi blu fra pro e contro e a diventare arbitro del conflitto, attraverso i suoi sbirri, quegli stessi che hanno già colpito e aspettano solo un ordine per radere al suolo le ZAD, quegli stessi che hanno assassinato Rémy Fraisse alcuni mesi fa. È un errore credere che ci sia la FNSEA o i piccoli proprietari di Roybon da una parte, e lo Stato con i suoi eletti, i suoi servizi e i suoi sbirri dall’altra; Vinci e Pierre e Vacances da un lato, e lo Stato dall’altro. C’è solo un’unità di interessi convergenti. Del resto le comunità rurali coinvolte dai progetti non sono entità omogenee. Emergono anche questioni di classe, di gerarchie, di influenza morale, materiale, ideologica, religiosa… Stato e capitale trovano complici per interesse o adesione ideologica. Non dobbiamo quindi aspettarci di vedere solo persone in uniforme schierate contro di noi.
Stato e capitale avanzano insieme. Questi progetti possono vedere la luce solo con la complicità dello Stato, ovvero con il suo sostegno amministrativo, politico, finanziario e attraverso infrastrutture che solo lui può autorizzare. E, all’occorrenza, con i suoi sbirri. A Chefresne, che doveva essere attraversata da una linea ad alta tensione, gli sbirri hanno scacciato un proprietario dal suo campo per permettere all’industria RTE di continuare le sue devastazioni, benché l’industria in questione non avesse l’autorizzazione della Giustizia, la quale evidentemente aveva chiuso gli occhi… «Polizia nazionale, milizia del capitale», «Giustizia, complice». In questo caso certi slogan colpiscono bene, ma a furia di ripeterli per riflesso non si è più consapevoli del loro significato reale.
È curioso che, mentre tutto dovrebbe spingere a prendere atto e ad impegnarsi nella lotta contro lo Stato e il Capitale, lo Stato divenga all’improvviso una sorta di entità neutra. Prendere atto vuol dire cercare anche di organizzarsi al meglio per difendere la zona e le attività di lotta da noi stessi. Chiaramente, la situazione sul terreno è complicata, e l’autodifesa implica qualcosa di ambizioso. Ma abbiamo un’altra scelta? Immaginiamo che possano esistere per alcuni delle strategie mediatiche — «guardate come i pro e lo Stato sono cattivi, e noi buoni» — miranti a legittimare la lotta, ma così si tralascia il ruolo dei media in queste vicende, la loro complicità con chi impartisce ordini, la loro sottomissione ideologica e materiale all’era del tempo. Ci sembra più pertinente proporre analisi e reagire a partire da una posizione chiara di opposizione allo Stato, piuttosto che ridargli una verniciata, passando per di più attraverso una comunicazione che sarebbe comunque importante criticare, oltre ad una stampa «alternativa» che più si sviluppa e meno sembra assumere una dimensione sovversiva. Ridare vita allo Stato è soccombere all’ideale astratto del cittadino, colui che si amministra. Il cittadinismo radicale, stadio supremo dell’alienazione?
Ma Stato e Capitale non solo marciano assieme. Lo Stato è sempre indaffarato nella ricerca di interlocutori, notabili locali, frange reazionarie, giungendo a consentire che si organizzino in milizie. Creare una situazione stagnante va a suo vantaggio. Lasciare che altri facciano il lavoro sporco, pure. Favorisce un clima di tensione poco propizio allo sviluppo del movimento, mantiene la pressione e la paura sulle persone che lottano, semina in alcuni il dubbio sulla legittimità di tali lotte. Aggiungiamo che i primi a subire pressioni, sia da parte degli sbirri che dei loro sostituti cittadini, sono coloro che lottano e che vi abitavano già da prima dell’inizio del conflitto. Questa non è una ragione per impedirsi di avere certe posizioni e di fare certe azioni, o rendere asettiche le attività di lotta, ma organizzarsi insieme è innanzitutto prendere coscienza delle realtà differenti di ognuno e cercare di emergere dal comune senza tacere le divergenze.
Lo Stato e gli industriali si reggono quando possono sulle popolazioni locali. È già accaduto nel corso della costruzione della centrale nucleare di Flamanville, nella Manche, dal 1975 al 1977. Diversi luoghi nella bassa Normandia erano allora in ballottaggio per accogliere i benefici dell’atomo. Alla fine fu scelta Flamanvile, meno per ragioni tecniche quanto per le immediate mobilitazioni di opposizione negli altri siti (a Calvados, alcune macchine dei cantieri erano state bruciate) e soprattutto per il sostegno di una parte della popolazione locale. In effetti, certi notabili erano pervenuti al nucleare fin dalla costruzione della azienda di trattamento di scorie nucleari della Hague a qualche decina di chilometri. Anche i curati diffondevano la buona parola atomica. Ma soprattutto, a Flamanville, c’era una popolazione operaia che aveva perso il lavoro. Una miniera di ferro aveva chiuso i battenti alcuni anni prima. Ovviamente, la costruzione di una centrale era stata vista di buon occhio da alcuni di loro. La scogliera dove si immergevano per trovare il ferro stava per lasciare il posto a un cantiere titanico, poi a una centrale che bisognava pur fare andare avanti. Ricatto del lavoro. Di fatto gli oppositori, che già conducevano una occupazione del sito, non si sono scontrati solo con lo Stato e l’EDF, ma anche coi cittadini locali arrivati e pronti a venire alle mani. Comunque sia, gli industriali e lo Stato scelgono i siti in funzione delle mobilitazioni che incontrano e dei possibili interlocutori all’interno delle popolazioni locali.
Notre-Dame-des-Landes fa forse eccezione, per la sua lunga storia di opposizioni. In questo luogo ci sono state numerose lotte nel passato, dai legami fra contadini e operai del 68 alle lotte antinucleari contro le centrali di Carnet e di Pellerin. È anche per questo che si è «incistata», come direbbe Valls. Ma non è riproducibile allo stesso modo dappertutto, per non parlare delle situazioni locali. Ciò significa forse che tali lotte sono più difficili da far vivere e soprattutto da estendere di quanto si creda. Ma che importa. Già a Chooz all’inizio degli anni 80 metallurgici e antinucleari avevano capito che una ipotetica vittoria (che vittoria?) non è necessariamente il solo scopo di una lotta. La loro parola d’ordine era «gli costerà caro annientarci». È anche questa lucidità che ha tratteggiato la ripresa della lotta contro i tralicci dell’alta tensione nella Manche, dopo il campeggio di Valognes del 2011. Nell’occasione, sembra proprio che documenti interni degli industriali colpiti confermino un certo effetto dei sabotaggi e delle varie attività di lotta. Che ciò si generalizzi, e gli effetti si faranno progressivamente sentire.
Caen, marzo 2015